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Il primo defibrillatore senza fili a Biella

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Nei giorni scorsi, per la prima volta, anche nella Cardiologia dell’Ospedale degli Infermi è stato impiantato un defibrillatore sottocutaneo, senza fili.

Nei giorni scorsi, per la prima volta, anche nella Cardiologia dell’Ospedale degli Infermi è stato impiantato un defibrillatore sottocutaneo, senza fili.

Si tratta di un intervento già eseguito nei maggiori centri cardiologici piemontesi, indicato in pazienti giovani, senza gravi cardiopatie strutturali, ma a rischio di aritmie potenzialmente gravi, che di solito sono determinate geneticamente.

Il defibrillatore sottocutaneo è stato impiantato in un paziente poco più che quarantenne, a seguito di uno svenimento improvviso, che gli accertamenti eseguiti dai cardiologi dell’ASL di Biella hanno imputato alla presenza di una patologica aritmogena genetica. L’intervento è stato eseguito da Biondino Marenna, dirigente medico della Cardiologia dell’ASL di Biella, che spiega: «A differenza del defibrillatore tradizionale, quello sottocutaneo non prevede l’inserimento di elettrocateteri nel cuore. Questi vengono infatti inseriti con accesso sottocutaneo adiacente allo sterno e sottopettorale, per poi essere collegati ad un generatore, di dimensioni lievemente superiori a quello tradizionale, posizionato in zona ascellare, sempre sottocute. L’assenza di elettrocateteri nelle cavità cardiache non espone il paziente ai rischi dell’impianto con tecnica tradizionale, quali dislocazione degli elettrodi stessi, loro sguainamenti o fratture, infezioni anche gravi».

E’ necessario precisare che il defibrillatore sottocutaneo ha un impiego limitato a casi specifici, in quanto non è in grado di erogare tutte le prestazioni del sistema endocardiaco tradizionale; tuttavia, entrambi, quando sono stati confrontati in numerosi studi clinici, che hanno arruolato migliaia di pazienti, hanno mostrato la stessa efficacia nell’interrompere aritmie potenzialmente letali.

Marco Marcolongo, Direttore della Cardiologia dell’Ospedale degli Infermi, aggiunge e conclude: «Oltre il 90% degli interventi richiede l’inserimento del defibrillatore tradizionale, in quando eseguiti su  persone con cuori gravemente compromessi. Poter disporre del defibrillatore sottocutaneo è un vantaggio notevole per quei pazienti che, pur avendo un cuore ben funzionante, rischiano un’aritmia maligna a causa di patologie aritmogene su base genetica. Fortunatamente, si tratta di casi rari, ma che non vanno sottovalutati: i più colpiti sono i giovani ed è di fondamentale importanza identificare i soggetti a maggior rischio per intervenire con tempestività. Una volta impiantato il dispositivo, i pazienti tornano alla vita di sempre senza particolari limitazioni, come nel caso del paziente che abbiamo dimesso nei giorni scorsi senza alcuna complicanza».

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