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Il Circolo sociale, il bisonte e il canguro

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Sobria mondanità, intrecci d’affari, legami parentali.  Con linguaggio d’oggi lo si sarebbe potuto definire soprattutto un incubatore delle linee di governo del territorio e di quella “biellesità” che 12 anni dopo, nel 1890, sarebbe stata celebrata nel carducciano “Biella tra ‘l monte e il verdeggiar de’ piani, lieta guardante l’ubere convalle, ch’armi ed aratri e a l’opera fumanti camini ostenta”. Da quel momento il Circolo Sociale è stato la “casa” dei biellesi che contano, soci del Circolo stesso o dei diversi Club di servizio (Rotary, Lyon, Soroptimist) che in esso hanno trovato residenza e celebrato fasti e feste.

Il 5 gennaio era morto Alfonso La Marmora.  Nel febbraio Gioacchino Pecci era stato eletto Papa con il nome di Leone XIII.  A giugno le grandi potenze europee avevano avviato il Congresso di Berlino.  In novembre a Napoli l’anarchico Giovanni Passannante  aveva tentato di uccidere con un coltellino il re Umberto I di Savoia.  

Correva l’anno 1878 e a Biella nasceva il Circolo Sociale, luogo di ritrovo, intrattenimento e socializzazione della classe dirigente cittadina: politici, borghesia delle professioni liberali, imprenditori.  Sobria mondanità, intrecci d’affari, legami parentali.  Con linguaggio d’oggi lo si sarebbe potuto definire soprattutto un incubatore delle linee di governo del territorio e di quella “biellesità” che 12 anni dopo, nel 1890, sarebbe stata celebrata nel carducciano “Biella tra ‘l monte e il verdeggiar de’ piani, lieta guardante l’ubere convalle, ch’armi ed aratri e a l’opera fumanti camini ostenta”. Da quel momento il Circolo Sociale è stato la “casa” dei biellesi che contano, soci del Circolo stesso o dei diversi Club di servizio (Rotary, Lyon, Soroptimist) che in esso hanno trovato residenza e celebrato fasti e feste. 

Per quasi un secolo e mezzo, durante il quale il Circolo Sociale e gli annessi e connessi hanno cambiato pelle e, specie nell’ultimo decennio, ruolo nella governance del territorio.  Una mutazione antropologica dovuta alla progressiva riduzione della presenza degli imprenditori in parte sostituiti da un melting pot di commercialisti, avvocati, notai, geometri, commercianti, dirigenti.   Un declino lento e sonnacchioso fino ai giorni nostri, quando d’improvviso l’agonico tran tran delle boiseries e dei velluti di piazza Martiri è stato morfinizzato dall’ipotesi di sostituire il gestore del ristorante interno con uno che poneva come condizione l’accesso alla ristorazione anche ai non soci nelle giornate di sabato e domenica. 

Un patriottico “Si scopron le tombe, si levano i morti…” (Giovanni Berchet, 1858, per l’Inno di Garibaldi) e la reazione delle rugose vestali dell’esclusività del sito, hanno fortunatamente impedito che il tempio della vipperia biellese si trasformasse in un dopolavoro “democratico” frequentato, come ha apocalitticamente immaginato Massimo De Nuzzo, da popolani in canottiera con lo stuzzicadenti in bocca.  Dunque tutto bene quel che finisce bene ?  Dipende.  Perchè il gestore “respinto” è una delle più importanti risorse, e un vanto,  della cultura gastronomica del territorio in fase di crescita e valorizzazione, ed avrebbe portato ai più alti livelli la lezione del leggendario Romeo, mentre quello scelto ed ingaggiato ha annunciato l’intenzione di deliziare l’epa cagionevole e vetusta dei soci con specialità a base di carne di canguro e di bisonte.  Cosa che, in un delirio onirico alla Marco Ferreri, potrebbe felicemente sfoltire i ranghi del sodalizio, dopo aver definitivamente sepolto la “biellesità” a tavola del Circolo e modificato la toponomastica in piazza Martiri del Bisonte e del Canguro.
  

giulianoramella@tiscali.it

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