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Felice e quella panchina vuota

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Ci sono creature che passano, camminano, ridono e piangono e nessuno le vede. Ragazzi seduti su panchine dei giardini col freddo nelle ossa annacquato in litri di vino scadente che corrode l’anima e il corpo ma scalda, scalda anche quando oltre al freddo della solitudine scende quello delle sere d’inverno. Ci sono ragazzi fragili, bambini che hanno giocato con la neve e nella neve si sono persi crescendo senza accorgersi che un momento dimenticato con l’alcool è solo un ennesimo attimo di quel vuoto infinito che allaga l’anima, affanna il cuore, brucia lo stomaco e la mente.

Il giudizio del mondo è spesso crudele, superficiale. Il mondo non capisce che fa più male un elegante signore a capo di una multinazionale che un ragazzo ubriaco disteso senza sensi su di una gelida panchina.

Ragazzi senza più sogni, senza più l’idea almeno di non darla vinta al sistema, a chi beve tutti i fine settimana  anche se ha una famiglia, una ragazza, i soldi e tanti amici, solo per sballare e sentire il mondo nelle proprie mani.
Felice è uno di quei “ ragazzi dei giardini”. Quelli che danno fastidio a chi non capisce cosa possa voler dire perdersi  e non avere nessuno che se ne fotta della tua vita. Felice è uno di quei ragazzi dei giardini che a Natale alle 8 era già messo in mezzo a una strada perché la nostra Italia i soldi li investe per il benessere dei governanti e non del popolo e dei suoi figli più sfortunati.

Quante volte Felice ti ho detto che ti rovinavi la vita…quante volte te l’ho detto non capendo che tu la vita già non sapevi più cosa fosse. Solo chi soffre o ha sofferto dei mali più profondi dell’anima sa come quando ci perdiamo o trovi una strettissima via da dove passare ed uscire, aiutato da chi ti vuole bene, o trovi grandi autostrade dove perderti, grandi giardini dove ti aspetta la solitudine di un abbraccio alcolico e gli sguardi inumani rotti nei colli di bottiglia.

Stamattina ho incontrato due tuoi amici Felice. Quei ragazzi che con te hanno passato giornate intere ad aspettare che qualcosa avvenisse nel nulla di una un qualcosa che non cambiava mai.

Mi hanno fermato con le lacrime agli occhi e mi hanno detto che sei in Ospedale, che questa volta non sanno se reggi.

Sono stato colto da un profondo sconforto perché ho di te il ricordo di un ragazzo educato e gentile, di un ragazzo che come me ha solo bisogno di non sentire il vuoto del mondo comprimere ogni angolo della propria vita. Sai quante volte ho immaginato quando eri bambino, i giorni in cui ancora la vita regalava giardini con altalene e giostre e gli sguardi teneri degli sconosciuti di fronte alla vita che cresce.

Quante volte ho pensato a quel tuo nome così in contrasto con il destino della tua vita, anche quando con i tuoi amici ridevi perché è proprio vero che un riso che non ha fondamenta nel domani è solo un riso amaro.

Cosa dire Felice: combatti, è la cosa più logica anche se in fondo lo fai per una vita che si fa pagare troppo per poter dire che t’ama e non ti usa. Vale per tutti noi Felice, per tutti noi che magari non la cerchiamo nell’alcool, sulle panchine dei giardini. Vale per tutti noi che magari siamo capaci a nasconderci o abbiamo un posto dove farlo e qualcuno che ci ospita quando cala la sera sull’anima. La differenza quando ti perdi è solo quella dell’essere visibili o invisibili a chi dai fastidio e a chi ti ama…la differenza nel farcela o nel lasciarsi andare in fondo è tutta lì…

Mi dicono ora Felice che non ce l’hai fatta…in fondo cos’era una panchina se non l’appoggio invisibile della vita di un ragazzo sfortunato. In fondo la differenza fra un giardino per giocare e uno per morire era solo questione di tempo.

Alberto Scicolone

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