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Curare l’Alzheimer con le bambole

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La bambola diventa per l’ammalato il “bambino da accudire” durante la giornata. E’ comprovato che questa terapia, associabile a quella farmacologica, riduce le alterazioni del comportamento, a volte anche fino alla loro totale scomparsa

Si svolgerà a Città Studi, giovedì 19 settembre, dalle 8.30 alle 17, il seminario dal titolo “Le terapie non convenzionali: la bambola che aiuta”, organizzato dall’Associazione “La Bottega del Possibile” di Torre Pellice (TO), con la collaborazione della Struttura Geriatria Post Acuzie, della Struttura Formazione e Comunicazione dell’ASL BI e dei consorzi biellesi per i servizi socio-assistenziali IRIS e CISSABO. L’incontro formativo si rivolge al personale sanitario ed assistenziale di ospedali, enti, cooperative, strutture residenziali e semi-residenziali per anziani, e figura come occasione di confronto sul tema delle terapie non convenzionali, sulla loro integrazione con quelle farmacologiche e su come sperimentarle.

L’obiettivo dell’incontro consiste nel razionalizzare l’applicazione della “Terapia della bambola” nelle case di riposo. La terapia della bambola è attualmente sperimentata in tutto il mondo, Italia compresa. Anche alcune case di riposo del Biellese stanno già ricorrendo a questo metodo, con buoni risultati, che prevede proprio l’utilizzo di una bambola per il paziente affetto da Alzheimer. L’oggetto diventa, così, per l’ammalato il “bambino da accudire” durante la giornata. E’ comprovato che questa terapia, associabile a quella farmacologica, riduce le alterazioni del comportamento dell’ammalato, a volte anche fino alla loro totale scomparsa.

Spiega Bernardino Debernardi, Direttore della Geriatria Post Acuzie dell’ASL BI: «Gli ammalati per i quali è possibile ricorrere alla terapia della bambola riescono a gestire meglio l’agitazione, l’ansia e l’irritabilità e, allo stesso modo, questo metodo influisce positivamente sull’apatia e sulla depressione, in quanto l’accudimento della bambola richiama l’attenzione della persona».

L’ammalato si occupa dell’accudimento attraverso il controllo visivo (controlla che la bambola stia bene, che sia posizionata comodamente, che sia sempre sotto la sua supervisione), con la manipolazione (le sistema i capelli, i vestiti) e con il contatto fisico (la tiene in braccio e la stringe al petto). Anche il fenomeno del “wandering” (vagabondaggio), che si manifesta in alcuni pazienti sottoforma di camminate continue, senza meta, può essere ridotto se non del tutto debellato con il ricorso a questa terapia. La terapia della bambola pare sortire particolare effetto in donne non sposate e senza figli, quasi l’accudimento di questo oggetto inanimato fosse il coronamento di un inconscio desiderio di maternità. Altre volte dà risultati su donne che, per via degli impegni lavorativi, hanno sempre dedicato poco tempo ai propri figli.

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