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C’era una volta il Pd

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“Sentire compagni che non vogliono più iscriversi al PD comunque mi fa piangere il cuore.  Chi per un motivo chi per l’altro.  So solo che senza  di loro non sarà più lo stesso PD”. Questa prosa fra il sentimentale e il melò appartiene a Paolo Furia, segretario politico del PD biellese

“Sentire compagni che non vogliono più iscriversi al PD comunque mi fa piangere il cuore.  Chi per un motivo chi per l’altro.  So solo che senza  di loro non sarà più lo stesso PD.  Chissà su quale tavolo andremo a giocare la lotta per una società migliore. (…)  Mi chiedo dove lotteranno, perchè so che lo faranno, i miei compagni che non si iscrivono più.  So che ci sono molti altri modi per essere utili”.

Questa prosa fra il sentimentale e il melò appartiene a Paolo Furia, segretario politico del PD biellese già segretario regionale dei giovani del partito, che ha affidato a facebook il personale scoramento per la deriva del proprio partito che, in quanto partito, pare arrivato a fine corsa.

Non c’è da compiacersi di ciò,  così come mercoledì su questo stesso giornale Roberto Pietrobon non si è compiaciuto della scomparsa a Biella del principale partito di centrodestra (“C’era una volta Forza Italia”).  Senza evocare le sinfonie di aria fritta sulla indispensabilità dei partiti cardine della democrazia partecipata e blabla, credo valga la pena qui di tentare di cercare di capire come sia potuto accadere in vent’anni che il PD, somma dell’antico PCI e di parte della DC del PSI e di altri cespugli dell’archeologia partitica, si sia ridotto ad avere a livello provinciale biellese un numero di iscritti pari a quello della più stitica sezione/cellula comunista nella Biella d’antan, ma mica tanto.  L’analisi della crisi della militanza politica richiederebbe paginate ed un “intenzo dibbbbattito”. 

Ma, per dei superficiali condannati alla sintesi quali noi siamo, si può riassumere nel linguaggio arcaico e nei concetti del giovane dirigente sopravvissuto, per ora, alla mutazione antropologica di un sistema divenuto il fantasma, e la caricatura, di sè stesso.   Il potere sta altrove, in altre stanze (leopolde, palazzigrazioli, fate voi), ha metodi spicci, facce proterve e rassicuranti, si esprime con sentenze taglienti ed irridenti.  Ma il giovane Furia, novello pierrot lunaire della politica biellese, parla di “cuore”, di “lotta per una società migliore”, e si chiede “dove lotteranno i miei compagni che non si iscrivono più”.  E mentre inanella questa trepida prosa, nelle ultime stanze del potere biellese, quelle della Fondazione della Cassa di Risparmio di Biella, si consuma la lotta, quella sì, per la successione di Luigi Squillario alla presidenza, con il partito, quello sì, di Squillario che sconfigge il partito, anche quest’altro sì, di Piergiorgio Fava facendo prevalere Paolo Tavolaccini su Franco Ferraris.

“So – conclude ecumenico e fidente Furia – che ci sono molti altri modi per essere utili.”  E’ vero, Paolo, a volte anche tacendo.

giulianoramella@tiscali.it

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