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Carcinoma del colon-retto, 80 medici a confronto

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Nei giorni scorsi, la sala convegni del nuovo ospedale dell’ASL BI ha ospitato un corso dal titolo “Il carcinoma del colon-retto: dalla prevenzione alla terapia chirurgica”, organizzato dalla Divisione di Chirurgia ad Alta Complessità dell’ASL BI, diretta da Roberto Polastri, in collaborazione con l’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Biella.

Nei giorni scorsi, la sala convegni del nuovo ospedale dell’ASL BI ha ospitato un corso dal titolo “Il carcinoma del colon-retto: dalla prevenzione alla terapia chirurgica”, organizzato dalla Divisione di Chirurgia ad Alta Complessità dell’ASL BI, diretta da Roberto Polastri, in collaborazione con l’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Biella.

L’incontro, a cui hanno partecipato circa 80 medici, ha inteso, in particolare, accrescere ulteriormente la collaborazione esistente tra i medici di Medicina Generale e gli specialisti ospedalieri, nel percorso diagnostico-terapeutico del paziente affetto da neoplasia del colon retto, patologia che in Europa colpisce ogni anno più di 400mila persone. I medici di medicina generale hanno, infatti, un ruolo fondamentale nell’individuazione precoce della malattia, con evidenti risvolti sul percorso clinico del paziente.

Al corso erano presenti, in qualità di relatori, specialisti della Chirurgia Generale ad Alta Complessità, della Struttura Semplice Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, nonché del Servizio Igiene degli Alimenti e della Nutrizione dell’ASL BI, per parlare di trattamenti in ambito chirurgico ma anche di prevenzione.

Proprio nell’ambito della prevenzione, la sana alimentazione e l’adesione ai programmi di screening giocano un ruolo fondamentale. Michelangelo Valenti, direttore del Servizio Igiene degli Alimenti e della Nutrizione dell’ASL BI, spiega: «Il rischio di ammalarsi di cancro del colon è influenzato da fattori alimentari e stili di vita. Incidono negativamente il consumo di carne rossa e carne conservata, alcool, obesità, sedentarietà, fumo. Sono, invece, fattori protettivi una dieta ricca in fibre (frutta e verdura), aglio, latte, calcio, vitamina D, acido folico e una buona dose di movimento, per esempio almeno due ore di intensa attività fisica a settimana oppure due ore e mezza alla settimana di attività moderata».

E’ molto importante controllare l’introduzione di zuccheri e cibi prodotti con farine bianche; cercare di mangiare almeno cinque porzioni al giorno di frutta e verdura e moderare l’assunzione di grassi alimentari.

Sempre nell’ambito della prevenzione, anche l’adesione ai programmi di screening consente di ridurre l’insorgenza di questo tumore e di individuare per tempo eventuali situazioni già patologiche. In Italia, il sistema più diffuso è rappresentato dalla ricerca del sangue occulto fecale; in questo modo, è possibile ridurre del 20% circa la mortalità per questa neoplasia: «E’ molto importante poter individuare i tumori molto piccoli o anche certi polipi ancora benigni, ma potenzialmente evolutivi -spiega Franco Ferrero, Dirigente medico della Struttura di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva e tra i relatori del corso-. La loro asportazione, con la colonscopia e polipectomia, impedisce l’insorgenza del cancro. Nella Regione Piemonte si è deciso di adottare la rettosigmoidoscopia come metodo di prevenzione».

In questo modo è dimostrato che i tumori del colon si riducono del 18-28%  ed anche la mortalità si riduce del 28-44%. Studi sui costi hanno anche dimostrato che questa metodica, se applicata nel 25% della popolazione di 59 anni, permette, in dieci anni, di indurre un risparmio di circa 4 milioni di euro. Il vero problema, ad oggi, è che l’adesione a questa procedura è ancora troppo bassa (non più del 20%) e questo riduce di molto l’efficacia dello screening nella popolazione.

«E’ dimostrato che eseguire una qualche forma di screening previene il cancro del colon -spiega ancora Ferrero- ; il sistema del sangue occulto è il più diffuso, ma la rettosigmoidoscopia potrebbe essere più efficace se applicabile su larga scala; la colonscopia resta molto valida come esame di secondo livello, in tutti i casi in cui si trovi sangue occulto nelle feci o la rettosigmoidoscopia abbia trovato polipi sospetti. A breve si potrà definire il ruolo della colonscopia virtuale, mentre in un futuro prossimo sarebbe auspicabile poter attuare altre metodiche non invasive, quali la ricerca nelle feci del DNA del tumore o lo studio con video capsula».

Roberto Polastri, Direttore della Chirurgia ad Alta Complessità dell’ASL BI, con i suoi collaboratori, Carlo Somaglino, Enrico Bolla, Luca Chiappo, Mauro Pozzo e Roberto Perinotti, ha riferito circa i risultati della terapia chirurgica sul tumore del colon-retto, informando i corsisti sui numeri e sull’impatto di tale patologia sull’attività chirurgica biellese negli ultimi cinque anni, con 856 interventi sul colon-retto (642 per patologie maligne e 214 per patologie benigne). Le nuove tecnologie disponibili hanno consentito un approccio laparoscopico-mininvasivo in un numero consistente di casi, con una percentuale del 46,5%, che si attesta tra le più alte nel panorama nazionale. Bisogna anche ricordare che circa il 30% degli interventi viene eseguito in regime di urgenza e che, in questi casi, i tassi di complicanze e la mortalità risultano più elevati rispetto ai casi in elezione.

«E’, dunque, importante accrescere la sinergia tra specialisti e Medici di Medicina Generale per arrivare ad approcciare la patologia in una fase precoce -spiega Polastri-. Il M.M.G. è infatti l’anello di congiunzione ideale ed insostituibile fra il paziente, la sua famiglia e gli specialisti ospedalieri deputati al trattamento di tale malattia. Rispetto alle procedure mini-invasive sulla patologia colica, anche se utilizzate in centri selezionati da anni, è stato necessario molto tempo per studiarne i risultati e validare queste tecniche, che oggi sono considerate sicure ed efficaci come quelle della Chirurgia tradizionale. Ovviamente, la loro adozione ha comportato impegno da parte del team chirurgico e anche dell’Azienda Sanitaria Locale che ha dotato il nostro ospedale della strumentazione necessaria».

Queste procedure chirurgiche sono classificate come “avanzate”: necessitano, infatti, di un lungo training specifico, di apparecchiature e strumentazioni sofisticate, tanto da limitarne la diffusione a pochi e selezionati centri. In quest’ottica, è un vanto per l’ASL BI poter disporre di “sale operatorie integrate” con strumentazione ad alta definizione – 3D, donate dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Biella. Queste camere sono controllate da un sistema informatico che permette l’integrazione di tutte le funzioni tecnologiche connesse al campo operatorio, con la possibilità di registrare e trasmettere l’intervento all’esterno. Inoltre, la tecnologia 3D offre la possibilità effettuare interventi sempre più complessi e delicati.

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