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Basta politica, voglio la primavera
Oggi la politica, i valorosi onorevoli e senatori della repubblica, le cariche istituzionali e perfino i rappresentati della regione Piemonte col suo ex Presidente in mutande verde legaiolo, mi hanno stufato, ho un’anticchia di nausea, oggi vorrei parlarvi della primavera. Nella valle dei templi ad Agrigento hanno già celebrato la festa del mandorlo in fiore : friscaletti e tamburelli hanno già intonato le prime tarantelle e le belle picciotte ricevono serenate amorose al chiaro di luna. Nelle nostre contrade il sole delle dieci del mattino riscalda i prati e bacia l’erba ciularina . Gli uccelli volano a stormo, le montagne all’orizzonte si tingono di rosso tramonto e il domani che si aspetta sarà un giorno nuovo di sole tiepido e teneri sospiri. Carnevale , col suo cipiglio truffaldino e ridanciano, occupa strade, piazze e saloni strapieni di maschere. Semel in anno licet insanire, urla un guitto sulla porta della città, e allora è tutto un susseguirsi di lazzi e frizzi, di scherzi e baruffe, di cotiche e fagioli saporiti. La gente a carnevale tenta ancora una risata, lo so che è dura come il ferro, lo so che sputi fiele amaro, ma se ti fermi un attimo ad ammirare le mascherine dei bimbi, il viso di Pulcinella o le movenze del Babi biellese, non puoi lasciarti andare a un sorriso liberatorio, non puoi non distendere i muscoli del viso e farti tornare il luccichio negli occhi. Se senti passare i carri con le trombette e coi fagioli, apri le finestre, fratello, che il sorriso è medicina e ricostituente. Se senti un’orchestrina suonare, accompagna il ritmo col battito delle mani, torna bambino, levati quel cipiglio scoglionato, lasciati andare, che non si può vivere senza sorriso. Senti questa: nell’antichità classica il Babi, il rospo, era il simbolo della Dea Sangaria. Questa Dea comandava a Roma i saturnali, i carnevali di quei tempi. Il Babi era dunque nientemeno una Dea e guidava il carnevale, e forse il suo nome latino ( bufones ) ha attinenza con ciò che fa ridere e rende sereno il cielo della nostra vita. Ti aspetto in teatro il 4 marzo. Ridi che campi più a lungo!
Beppe Pellitteri
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