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Basso Biellese

La resistenza ucraina ricordando il partigiano “Pittore”

Raglio d’Asino: la guerra fa tornare alla mente l’eccidio di Salussola del 9 marzo 1945, tragico evento che non ha insegnato niente a nessuno

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La resistenza ucraina ci riporta alla mente il racconto del partigiano Sergio Rosa Canuto, nome di battaglia “Pittore”, che davanti a un plotone di esecuzione si salvò nell’eccidio di Salussola. Oggi, mentre ognuno di noi rimane sbigottito davanti alle immagini della guerra, quel tragico evento avvenuto il 9 marzo 1945 a Salussola, purtroppo, non ha insegnato nulla a nessuno.

Era la fine di febbraio del 1945. Il Comando della Brigata Garibaldi fece rientrare i distaccamenti della 109ª Brigata che si trovavano ancora nel Monferrato. Durante la marcia, il distaccamento “Zoppis” composto da 33 partigiani, fermatosi a riposare in una cascina presso Livorno Ferraris, fu sorpreso e arrestato nelle prime ore dell’alba del primo marzo da una compagnia del comando “OP Macerata” di Clusone.

I trentatré uomini furono condotti in diversi presidi; infine un gruppo di ventuno fu prelevato dal Battaglione “M” di Montebello e condotto verso Biella, con la scusa di realizzare uno scambio tra prigionieri con soldati tedeschi. A Salussola, invece, dopo un’intera notte di sevizie e violenze documentate dall’unico sopravvissuto, i prigionieri furono uccisi a colpi di mitragliatrice all’alba del 9 marzo.

La strage voleva essere una rappresaglia per l’attacco condotto alcuni giorni prima da partigiani, probabilmente della 75ª Brigata, ai danni di alcuni mezzi militari della “Montebello” transitati presso Salussola. Nell’attacco un mezzo era stato distrutto e quattro militari uccisi. Il racconto del partigiano Sergio Rosa Canuto, che davanti ad un plotone di esecuzione fu l’unico a salvarsi, è la testimonianza che la guerra, le torture morali e fisiche inflitte alle vittime, il tempo non è riuscito a fermarle.

«Dopo la cattura, – raccontava nelle sue memorie Sergio Canuto Rosa – la sera dell’8 marzo fummo trasferiti da Livorno Ferraris a Salussola con la prospettiva di un cambio con soldati tedeschi. Dai loro discorsi, capimmo che volevano trucidarci prima di impartirci il colpo di grazia. Alle quattro dell’alba del 9 marzo ci portarono davanti al piazzale d’esecuzione. Non c’era più nulla da fare, i preparativi erano stati studiati a dovere. Sapevo che avrei vissuto solo per pochi secondi. Un milite mi venne vicino, cercò di levarmi il giubbotto, reagii con violenza volando addosso al mio aguzzino e lo buttai a terra. Un altro milite mi aggredì, riversandomi un fortissimo colpo colla canna del fucile sulla fronte, facendomi barcollare senza più vedere nulla. Mi ripresi e lo respinsi. Afferrandolo, iniziai a rotolare con lui sul terreno e poi giù per una china tra rovi e sassi. Iniziò tra di noi una lotta furibonda che per me significava la vita o la morte. Incominciai a colpirlo, a forza di pugni e schiaffi, benché cercasse di estrarre il pugnale dalla cintura, ma il peso del mio corpo glielo impediva. Quell’animale chiedeva aiuto; allora lo afferrai per la gola e gli somministrai un’ultima dose di pugni, e poi mi rialzai anche se malconcio. Mentre rotolavo nuovamente per i pendii, sentendo le raffiche che scheggiavano i sassi, continuai a rotolare fra i rovi. Precipitavo come un masso in fondo al vallone verso il torrente, mentre dall’alto continuava la sparatoria e le pallottole fischiavano tutto attorno. Tiratomi fuori dall’acqua, proseguii come un automa attraverso un lungo campo arato. Le scarpe, regalo di un repubblicano, erano sfondate, i piedi indolenziti e gelati. Proseguii: lassù finalmente avevano smesso di sparare nella mia direzione; poco dopo sentii una scarica nutrita seguita da colpi alternati; i miei venti compagni torturati erano stati uccisi. Io riuscii a scappare e a salvarmi».

Il racconto nella sua drammaticità ci riporta inesorabilmente al conflitto russo in Ucraina. Se Vladimir Putin pensava di attuare una vittoria veloce e facile sul campo, il suo maledetto ottimismo si è scontrato contro i fratelli e le sorelle dell’Ucraina. Una guerra che la Russia, anche se riuscirà a strappare con l’odio e la forza, ha già perduto per l’opposizione e la caparbietà dei nascenti “volontari” ucraini: quei ‘resistenti’ che a forza di guerriglia longeva e pugnace, stanno resistendo con ogni forza al grave attacco dello zar. La resistenza, la stessa che difese con forza il partigiano Sergio Rosa Canuto, sta “giocando” un ruolo determinante per la liberazione del paese dal nemico straniero; ma sul campo, però, a morire sono ancora quei civili e quei bambini che fino a pochi giorni fa avevano creduto che la libertà fosse stato da anni un diritto acquisito.

 

Michele Porta

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