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Con la “Merlin”, a Biella è sparito solo il civico 12

Raglio d’Asino: Oltre sessant’anni fa la chiusura dei bordelli

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BIELLA – A distanza di sessant’anni dall’approvazione della legge Merlin, che entrò in vigore il 20 settembre ‘58, ancora oggi il tema delle case chiuse rimane un problema irrisolto. L’allora senatrice socialista Angelina Merlin, con l’approvazione della legge che prende il suo nome, fece chiudere definitivamente le case chiuse, introducendo il reato di sfruttamento, favoreggiamento e induzione alla prostituzione.

Il progetto, che divenne legge dopo un lunghissimo iter parlamentare, stabiliva sanzioni pesanti: 4 milioni di lire e 6 anni di carcere per lo sfruttamento della prostituzione, 2 mila lire e arresto con un massimo di 8 giorni per le “pappagalle della strada”, così definite nel celebre annuncio alla Rai dal giornalista Zatterin, che con toni misteriosi e poco chiari, mandò in onda la notizia senza mai nominare le case chiuse, la prostituzione e la parola “prostituta”.

Ugo Zatterin, che a Biella fu direttore di Eco dal 1990 al 1995, in quegli anni, sovente fu incalzato dai redattori del giornale, che gli domandavano scherzosamente perché avesse mandato in onda la notizia, senza mai aver nominato la parola “prostituta”. Lui scocciato rispondeva: “Era stato l’unico modo per dare la notizia, altrimenti non sarebbe stata data. Punto!”.

I bordelli, istituiti con il regolamento Cavour, inizialmente destinati alle guarnigioni militari e poi a uso civile, sono stati lo specchio di una società che voleva controllare e sorvegliare, i corpi femminili delle prostitute. Quest’ultime, ultime tra le ultime, tollerate e temute, impedivano che fosse danneggiata la buona società. Con la fine dei bordelli crollò un intero “edificio”, basato su tre pilastri fondamentali: la fede cattolica, la patria e la famiglia”. Era nelle case chiuse “che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia”.

Basamenti, che a Biella trovavano conferma da preti, politici, imprenditori e persone di ogni ceto sociale con tante reticenze, (tutta brava gente), ma con alcune spavalde ammissioni: quando stavano troppo lontano dal casino, la “sciura Gianna” maîtresse della maison al numero “Dodici” in costa San Sebastiano (Flàmba, così chiamati i bordelli in piemontese), preoccupata, li contattava telefonicamente perché non li vedeva tornare, annunciando che era arrivata la nuova quindicina. Le ragazze sostituite ogni quindici giorni, avevano un lavoro a tutti gli effetti, con tanto di libretto, tasse, licenza di esercitare la professione a fronte di rigorose visite sanitarie e con l’assoluto divieto di avere contatti con ragazzi sotto i ventun anni, allora minorenni.

A testimoniare quest’ultima verità lo ricorda anche la signora Stefania. Racconta che nei primi anni ’60, suo papà, Piero Ceresa Procin della storica salumeria Vegis, entrato giovanissimo in negozio come garzone, per anni, oltre a consegnare ai buongustai biellesi e a importanti dinastie laniere le eccezionali offerte gastronomiche, serviva anche una clientela particolare: le signorine che alloggiavano (provvisoriamente) al numero civico 12 di Costa San Sebastiano, allora in auge, prima della chiusura decretata dalla Merlin. Piero, – ci conferma la figlia Stefania – era poco più che dodicenne e, pertanto, essendo rigorosamente precluso l’accesso ai minorenni, la merce la consegnava tassativamente all’esterno della Maison.

Per certi versi, la chiusura dei bordelli, fu un passaggio storico e doveroso; lo chiedeva a gran voce anche l’Europa, ma aprirono nuove frontiere che ancora oggi sono un tema irrisolto. Se con la Merlin si sperava di aver sconfitto definitivamente l’annoso problema delle case d’appuntamento, a distanza di sessant’anni poco è cambiato. Chiuso il locale in Costa San Sebastiano e rimosso il numero civico “Dodici” con il “10 Bis”, le case del piacere hanno continuato e continuano a riprodursi in altre vie e numeri della nostra città.

 

Michele Porta

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