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Vecchio ospedale, nemmeno la regione ha idee sul suo futuro

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Il vecchio ospedale degli Infermi è ormai chiuso da quasi un mese e i biellesi continuano a chiedersi che cosa ne sarà di quella immensa struttura chiamata comunemente il “monoblocco”.

Il vecchio ospedale degli Infermi è ormai chiuso da quasi un mese e i biellesi continuano a chiedersi che cosa ne sarà di quella immensa struttura chiamata comunemente il “monoblocco”.

La preoccupazione di tutti è una sola, che venga abbandonato a se stesso o utilizzato come punto di ritrovo e dormitorio abusivo. Dalla Regione per ora tutto tace. Il presidente Sergio Chiamparino, che venerdì si trovava a Valdengo,  ha assicurato che una struttura come quella non verrà sicuramente lasciata all’abbandono più totale, ma nello stesso tempo non si è nemmeno sbilanciato su quale sarà il futuro del “degli Infermi”.

«E’ uno degli edifici storici di Biella – ha spiegato il governatore -. Attualmente non saprei dire come potrà essere utilizzato in futuro. Sicuramente non verrà messo nel dimenticatoio, anzi, per quanto mi riguarda dobbiamo trovare al più presto un modo per valorizzarlo. C’è da tenere in considerazione il fatto che siccome l’ex  struttura ospedaliera è di proprietà della Regione, siamo solamente noi in campo e ad oggi le finanze a disposizione sono veramente poche.
Sicuramente – conclude Chiamparino – nella nostra agenda relativa alla valorizzazione degli immobili, il “degli Infermi” si trova in una buona posizione a rispetto a molti altri edifici».

Alle sue parole fanno eco anche quelle del consigliere regionale Vittorio Barazzotto: «Innanzitutto, bisogna cercare di capire se conviene di più demolire il monoblocco oppure sistemarlo – spiega -. Secondo me, le istituzioni locali dovrebbero fare una profonda riflessione. La Regione invece conta di incassare qualcosa dalla vendita. Bisogna cercare di capire per chi può essere appetibile, si tratta di una struttura gigantesca. Il problema su che cosa fare del vecchio ospedale non è dell’ultim’ora, ma sono anni che ce lo chiediamo».

Mauro Pollotti

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