BiellaLei non sa chi sono io
Lei non sa chi sono io: Giovanni Schiapparelli
La rubrica con cui Edoardo Tagliani racconta i titolari delle vie cittadine

A causa di una quasi totale omonimia (c’è solo una “P” di differenza”) lo Schiapparelli nostrano viene spesso scambiato per il più noto Schiaparelli cuneese, anche lui battezzato Giovanni.
Il Giovanni della “Provincia Granda” (14 marzo 1835 – 4 luglio 1910) fu famosissimo astronomo che fece un sacco di cose strabilianti, ma qui non si parla di lui. Si parla dell’altro Giovanni, quello con due “P”, fieramente di Occhieppo Inferiore, nato il 20 agosto del 1795 e spirato in quel di Gassino Torinese il 30 settembre del 1863.
Il nostro, di Giovanni, non guardava le cose grandi come le stelle e i pianeti, ma le cose piccine come le molecole: era un farmacista. Il suo mestiere gli piaceva talmente che divenne tanto bravo da lavorare prima a Roma e poi a Napoli, dove vinse anche un concorso universitario come “preparatore” per la cattedra di chimica farmaceutica.
Ma la politica vinse sulle medicine: decise di tornare in Piemonte per partecipare ai moti insurrezionali. Peccato che arrivò tardi. Quando rivide la Mole, i moti erano appena finiti.
Sfruttò allora la sua innata capacità imprenditoriale (un biellese Doc, insomma) e si gettò sulla produzione industriale di composti chimici all’avanguardia. Aveva sbirciato esperienze positive e redditizie dai cugini francesi (Pierre Joseph Pelletier, 1788 – 1842) e si mise a produrre solfato di chinina, una cura efficacie per la malaria.
Guadagnò molto bene e coi proventi della neonata azienda acquisto una farmacia in centro a Torino, fronte Duomo, che esiste ancora e sfoggia ancora gli arredi ottocenteschi originali. Farmacia che mise a disposizione (la passione per la politica era ancora viva) per incontri tra intellettuali come Cavour, Minghetti, Rattazzi e Crispi. In effetti, essendo tutti già piuttosto attempati, fare convegni in farmacia era forse anche un modo di prendere due piccioni con una fava.
Col tempo, trovò il modo di far scendere il prezzo del chinino, riducendolo a un quinto di quello precedente, cosa che gli garantì maggiori possibilità di espansione del ciclo produttivo e, dunque, maggiore mercato e introiti. Divenne talmente famoso che il Regno di Sardegna lo convocò per aggiornare la farmacopea dell’epoca e i costi dei medicinali. Ricevette numerosi premi da associazioni e apparati statali di settore.
Morì a Gassino il 30 settembre del 1863. Dopo la sua dipartita, due dei suoi cinque figli, Tancredi e Annibale, ampliarono ancora il business, così come fece il nipote Emilio, che trasformò definitivamente l’impresa famigliare in un marchio internazionale.
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