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Lei non sa chi sono io: Giovanni Amendola

La rubrica con cui Edoardo Tagliani racconta i titolari delle vie cittadine

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rubrica tagliani

Nasce il 15 aprile del 1882, Giovanni Amendola. A Episcopio di Sarno, un piccolo centro in provincia di Salerno. Già a 15 anni si iscrive alla “Gioventù Socialista” e comincia a collaborare con testate giornalistiche e radio, mostrando fin da subito le sue inclinazioni politiche che matureranno definitivamente in una visione antifascista liberale ugualmente contrapposta al comunismo.

Di certo, nello sviluppo di queste convinzioni, pesarono la sua passione e i suoi studi di teosofia. Pur essendo cambiata nel corso dei secoli, la teosofia è sempre rimasta una disciplina che lega fede, spiritualità e componenti esoteriche molto simili a quelle massoniche (tanto che lo stesso Amendola diventerà membro della loggia del Grande Oriente d’Italia nel 1905). Il motto “definitivo” della moderna teosofia viene coniato nel 1875 negli Stati Uniti: «Non esiste religione più alta che la verità» (in lingua originale, «There is no religion higher than trouth»).

Interventista della prima ora, ormai giornalista affermato, Amendola si schiera apertamente per il coinvolgimento dell’Italia nella Grande Guerra, terminata la quale, nel 1919, inizia la sua carriera politica venendo eletto alla Camera dei Deputati. Nei giorni successivi alla Marcia su Roma e all’insediamento del governo Mussolini (16 novembre 1922), prende posizioni nitide nei confronti del regime, posizioni dalle quali traspare nitida la sua esperienza teosofica: «Veramente la caratteristica più saliente del moto fascista rimarrà, per coloro che lo studieranno in futuro, lo spirito «totalitario»; il quale non consente all’avvenire di avere albe che non saranno salutate col gesto romano, come non consente al presente dì nutrire anime che non siano piegate nella confessione: “credo”. Questa singolare “guerra di religione” (…) non vi offre una fede, ma in compenso vi nega il diritto di avere una coscienza – la vostra e non l’altrui – vi preclude con una plumbea ipoteca l’avvenire».

Durante gli anni dell’ascesa del Duce, viene più volte minacciato e aggredito, fino ad essere bastonato (26 dicembre 1923) da una squadraccia Roma, rimediando brutte ferite alla testa. Successivamente, riesce a sfuggire a un attentato ideato per ucciderlo mentre faceva cure termali a Montecatini, ma la vicenda storica è ancora oggi discussa e non del tutto chiara.

Morirà il 7 aprile del 1926, molto prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale, in una clinica di Cannes dopo essere stato operato ai polmoni. Fino all’ultimo Amendola si oppose, con la politica e il giornalismo, a ogni regime totalitario dell’epoca, comunismo compreso: «Alla fine, i comunisti sono gli epigoni nostrani dell’esperimento russo (…) e – fanatici delle proprie concezioni fino alle ultime conseguenze – mentre legittimano con la propria adesione la dittatura di Lenin, legittimano pure la dittatura fascista in Italia, pur combattendola».

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