Gli Sbiellati
Dove eravamo rimasti?
Gli Sbiellati: Una rubrica per tentare di guardarci allo specchio e non piacerci
BIELLA – Dove eravamo rimasti? Agosto è solito mettere in pausa le intenzioni e ciò che accade in città sembra corrispondere all’accadere del nulla. In realtà, sia che evadiamo dai confini locali o che ne restiamo prigionieri, passiamo un mese con gli occhi socchiusi ad ascoltare, anche con un po’ di fastidio, il sottofondo trap partorito dalla radio del vicino o quello dispensato dalle parole messe stancamente in fila dai media cittadini. Il livello d’attenzione è stanco e si riposa, nonostante qualcuno creda di avere sempre qualcosa da dire sui social e sui giornali o da cantare con l’autotune. Per questo la domanda posta all’inizio ha il senso del risveglio, buona per affrontare quel gigantesco lunedì che è settembre. Dove eravamo davvero rimasti? Cosa ci siamo persi? Cosa ci aspetta? E qui l’ansia cresce in respiro e pulsazioni: fino all’inevitabile rassegnazione della routine.
Siamo rimasti a quel disastro che è stato il non aver nemmeno partecipato al bando per progetti di riqualificazione dei centri urbani, riduzione del disagio abitativo e sostegno all’inclusione sociale. Al conclamarsi dell’inadeguatezza di un’amministrazione che ci pone di fronte al dilemma se sia meglio definirla distratta o incapace. A un assessore dimissionato per partito preso dal suo partito e a un sindaco che si è assunto ogni responsabilità politica senza di fatto assumersela. S’è detto che certi nodi sarebbero venuti al pettine a settembre, come il rigurgito di certi tormentoni estivi che portano con sé nostalgie a buon mercato o l’ennesimo fastidio. Resteremo sintonizzati.
Nel frattempo il sindaco ha fatto quel che meglio gli riesce: rappresentare se stesso a ogni possibile occasione. Il vice è rimasto invece a rispondere al telefono del pronto intervento, rapido nel transennare buche e altrettanto veloce nel comunicarlo all’universo che non vedeva l’ora. Gli riesce bene. Poi, in attesa delle vendette trasversali, dei pesci in faccia o delle riappacificazioni necessarie, tutti insieme appassionatamente a re-incoronare la Madonna d’Oropa.
Viceministri locali, ministri foresti, onorevoli, presidenti d’ogni ordine e grado, consiglieri d’ogni consiglio, sindaci d’ogni borgo, ex della qualunque e vip assortiti hanno celebrato, in una giornata d’insperato sole, il loro “io c’ero”. L’algoritmo che intercetta sui social le immagini delle madonne nere, s’è svegliato d’improvviso al suono dei click delle foto degli eletti, è il caso di dirlo. Con didascalie confezionate per l’occasione, a testimoniare la testimonianza. Il passo da rappresentanti a privilegiati è breve: chissà se il popolo dei fedeli si è sentito, anche in questo caso, rappresentato, costretto com’era a guardarsi la tv sul sagrato. E chissà se quelle foto avranno ancora un senso, tra cent’anni: almeno non vedranno le stesse facce.
Mi resta ancora da capire se il Papa ha sorriso divertito quando come legato pontificio per l’incoronazione ha scelto il cardinal Re. Credo l’abbia fatto apposta, in omaggio alla nostra Madonna regina del Monte di Oropa, ma qui nessuno ha riso di sicuro. In ogni caso è stato un evento, a lungo trascinato tra il Covid e la Chiesa nuova che perdeva i pezzi, che ha coinvolto la comunità biellese. Un evento che ha persino trasceso la fede e la superstizione e che, visti i soldi spesi, qualcuno ha tentato di giustificare con la visibilità ecumenica della cerimonia, foriera di un rispolvero turistico del sito mariano. Mi permetto solo di sottolineare che senza una strategia dedicata non si va da nessuna parte: si ha solo la sensazione d’andarci. Tornare all’intimità della preghiera non sarà male, dopo questa bulimica esposizione di immagini, corone dorate, gadget e polente conce.
Questo è un po’ tutto il dov’eravamo rimasti. Ora ci tocca d’andare avanti e ricominciare: il lavoro e la scuola. Ci tocca tornare a parlare di Covid e vaccini, sperando in un sussulto di civiltà e comprensione. Altrimenti davvero, non ci resta altro che accendere candele e lasciarle bruciare nella speranza.
Lele Ghisio
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