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Filippo Poletti: «Con “Parola a Bolle” raccontiamo il gusto italiano»
Intervista esclusiva al giornalista più seguito su LinkedIn, ideatore del nuovo format lanciato durante Bolle di Malto a Biella. Un viaggio nel foodtelling e beveragetelling per raccontare le storie vere dietro i grandi marchi del gusto italiano
Sta per calare il sipario sulla decima edizione di “Bolle di Malto”. Tra le novità di quest’anno si annovera “Parola a Bolle”, una rassegna di interviste agli imprenditori italiani del sapore e del gusto, curata da Filippo Poletti, il giornalista più seguito su LinkedIn, che ha inaugurato un’interessante dimensione, quella del foodtelling e del beveragetelling. Parole nuove, storie antiche.
Cosa significa fare “foodtelling” e “beveragetelling”?
Significa raccontare il mangiare e il bere consapevoli, andando alla ricerca del perché e del come nasce il gusto. Il “foodtelling” e il “beveragetelling”, intesi come l’arte di raccontare storie attraverso il cibo e il vino, nascono molto prima dei social media: pensiamo all’“Ultima cena” di Leonardo da Vinci, al “Vertumno” di Giuseppe Arcimboldo o alla “Tavola imbandita” di Henri Matisse. Ha detto bene anni fa l’artista biellese Michelangelo Pistoletto, che stimo molto, definendo il cibo come “cultura” e “coltura”, facendo un parallelismo tra il coltivare la terra e il coltivare l’arte.
I social hanno dato la possibilità a ciascuno di condividere l’esperienza legata alla tavola. Attenzione, però, a non cadere nella trappola delle apparenze: il “foodtelling” e il “beveragetelling” sono molto di più che farsi un selfie o fare un primo piano alla panissa o a una pinta. Parafrasando un verso del piemontese Umberto Tozzi, “si può dare di più”, raccontare di più. Ed è ciò che faremo a “Parola a Bolle”.
Com’è nata la collaborazione con “Bolle di Malto”?
È nata dall’incontro a Milano con i fondatori Raffaele Abbattista e Marta Florio. Il loro entusiasmo mi ha contagiato e mi sono messo a disposizione per dare vita al “salotto del cibo e del bere” di piazza Duomo. Partiremo presentando sei imprenditori del Piemonte e della Lombardia, di cui una, è anche vicepresidente di Confindustria: sarà una prima edizione con tanto “gusto al fuoco”, che vogliamo replicare negli anni a venire.
Lei ha affermato che “sapori e gusti sono portatori di connessioni professionali e umane”. Perché?
I primi “foodteller” e “beverageteller” sono la nostra mamma e il nostro papà. Questa è l’esperienza che ci accomuna. Non a caso, dietro a grandi marchi del cibo e del bere come l’aceto Ponti, il Riso Gallo o le patatine Amica Chips ci sono delle famiglie di imprenditori: Ponti alla nona generazione, Gallo alla sesta, per non dire della Pasticceria Massera, arrivata alla quarta generazione. Fare “foodtelling” e “beveragetelling” significa dare voce a queste famiglie.
In Italia la cultura del cibo ha sempre giocato un ruolo cruciale. Quali scenari per il futuro?
L’Italia è la culla del “benessere a tavola”: penso al mangiare e al degustare la Menabrea o il Nebbiolo di Centovigne, nelle sue tante declinazioni. È questo il nostro “petrolio”, assieme al paesaggio. Più sapremo raccontarlo, più il “brand Biella” e il “brand Italia” diventeranno attrattivi.
Michele Petruzzo
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