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Cronaca

“Siamo nomadi, non delinquenti”

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A volte, dire il proprio nome o mostrarsi in pubblico non è così facile. Sono troppi ancora i pregiudizi e la paura di essere presi di mira per l’ennesima volta. Anna, 38 anni e madre di quattro figli, parla di periodi sempre più tesi: «Ultimamente di pattuglie se ne vedono un po’ troppe. Molti di loro ormai ci conosco e sanno che non siamo delinquenti. Con loro ci facciamo anche qualche risata, ma non si può comunque andare avanti così. Arrivano senza più un orario, anche la mattina presto o in piena notte, mentre i bambini dormono, e non ci danno nemmeno una spiegazione. Che senso ha chiederci ancora i documenti, se conoscono a memoria tutti i nostri dati?».

«Siamo perseguitati, non ne possiamo più». Dopo i controlli di Carabinieri e Arpa eseguiti nei giorni scorsi, gli abitanti del campo nomadi di Biella non ci stanno. Sono stufi di essere considerati degli incivili, o nei casi peggiori dei disonesti, e vogliono far sentire la loro voce. Con molta discrezione, però. Anche se questa comunità ha infatti molto da raccontare, la paura è rimane comunque tanta.

A volte, dire il proprio nome o mostrarsi in pubblico non è così facile. Sono troppi ancora i pregiudizi e la paura di essere presi di mira per l’ennesima volta. Anna, 38 anni e madre di quattro figli, parla di periodi sempre più tesi: «Ultimamente di pattuglie se ne vedono un po’ troppe. Molti di loro ormai ci conosco e sanno che non siamo delinquenti. Con loro ci facciamo anche qualche risata, ma non si può comunque andare avanti così. Arrivano senza più un orario, anche la mattina presto o in piena notte, mentre i bambini dormono, e non ci danno nemmeno una spiegazione. Che senso ha chiederci ancora i documenti, se conoscono a memoria tutti i nostri dati?». Nessuna segnalazione particolare, nessun reato. Eppure i sopralluoghi continuano.

Alfredo, giovane 25enne, spiega di essere stato quasi “costretto” a sbarazzarsi della propria automobile, una vecchia Renault Megane: «Mi è toccato venderla dalla disperazione – ammette – perché sono finito in caserma troppe volte per quella macchina. Ormai bastava trovarci dentro anche solo un cacciavite e rischiavo di sentirmi dire che fosse un attrezzo da scasso».

Ma la situazione più paradossale sembra quella del bagno in comune. Uno dei pochissimi in quel campo, ma completamente abbandonato a sé stesso. E non per colpa loro, dicono. «Ci sono state così tante infiltrazioni dai muri – spiega ancora Anna – che ci è perfino crollato il boiler dell’acqua. Non voglio pensare se in quel momento ci fossero stati sotto i bambini. Quello che so è che il Comune si è sempre vantato di adoperarsi per i servizi di questo campo, ma oggi ci ritroviamo con un bagno quasi inagibile». E qui viene il paradosso. Molti denunciano che nonostante i sopraluoghi degli addetti (durante cui sarebbero stati portati via alcuni componenti mal funzionanti, ad oggi non ancora sostituiti) l’unico risultato è stato quello di vietare a chiunque di riparare manualmente i guasti, o di risistemare i muri pericolanti. «Non riusciamo ancora a rendercene conto – continua Anna -. Non basta che dopo cinque anni il Comune non si sia mai fatto vivo per risolvere il problema, ma ci hanno pure proibito di arrangiarci da soli. Tutto ciò che abbiamo lo abbiamo creato con le nostre mani. Non sarebbe un problema per noi risistemare quel bagno. Tutto questo non ha alcun senso».

E a dispetto dei luoghi comuni, non tutti loro vivono in roulotte. Alfredo, per i suoi bambini, ha deciso di costruire una piccola ed umile casa. Ma anche per loro, la burocrazia non si è fatta troppo attendere. «Ho sempre voluto rispettare la legge – spiega – e ho tentato in tutti modi di regolarizzarmi. Così, ho cominciato a pagare diversi bollettini al Comune, fino a sborsare quasi 400 euro. Poi, l’unico risultato è stato che questa casa deve sparire comunque. Ma io miei soldi non li ho più rivisti. Se non per me, che si mettano una mano sulla coscienza per i miei bambini. Almeno per loro non posso accettare tutto questo».

Marco Comerio

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