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Cronaca

Muore in ospedale tra dolori atroci

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Muore in ospedale tra dolori atroci

Cosa è successo davvero in ospedale? Perché è morto? Si poteva salvare? Sono le domande poste dal giornalista Francesco Paolo Del Re, che nella puntata di ieri mattina di “Chi l’ha visto?” si è occupato del caso di Giuseppe Bracco, 71enne biellese morto “tra atroci sofferenze” in un letto d’ospedale.
A rivolgersi alla nota trasmissione televisiva sono stati i familiari dell’uomo, che chiedono chiarezza su una vicenda già al vaglio della magistratura.
Affetto da problemi cardiaci, Giuseppe Bracco era stato ricoverato la vigilia di Natale: «Il blocco renale – ha spiegato la figlia Helga al giornalista Riccardo Franceschelli – è stato la causa per la quale abbiamo contattato il 118 e abbiamo voluto che venisse ricoverato, fino a quando il problema non migliorava».
E le sue condizioni in effetti erano migliorate, come ha aggiunto l’altro figlio, Leandro Bracco: «Grazie alla dialisi e alle cure dei medici, questo blocco renale è stato sconfitto e mio padre ha ricominciato a urinare. I problemi sono nati dopo, quando da Nefrologia è stato portato in Geriatria, proprio perché migliorava. Qui gli è scoppiata una sindrome maledetta, che colpisce una persona ogni 2 milioni. Si chiama sindrome di Lyell, è una intossicazione acuta da farmaci. Ma l’abbiamo saputo solo all’ultimo».
Sul corpo di Bracco, dunque, a causa di questa patologia, sarebbero gradualmente comparse delle macchie, presunte necrosi dell’epidermide, divenute col tempo come delle vere e proprie ustioni.
«L’infermiera – ha ricordato nel corso del servizio la vedova di Giuseppe, Rosa Nilo – mi disse che quando gli sfilava la canottiera, si staccava la pelle». Una situazione confermata anche dall’amica Nadia Cravello: «Non riesco a togliermi dalla testa quando gli hanno tolto la flanella: aveva la pelle tutta attaccata agli indumenti. Urlava, perché aveva male, povero uomo».
«Era come se si fosse gettato nel fuoco – ha ribadito la figlia Helga -, alla fine era ustionato sul 90% del corpo. Non era più in grado di mangiare, infatti veniva alimentato con un sondino. Non riusciva più a parlare, a tenere gli occhi aperti. La situazione degenerava di ora in ora. Quando chiedevo ai medici cosa avesse mio padre, mi dicevano sempre “intossicazione da antibiotici”. Nulla di più».
La situazione è andata peggiorando fino a quando, il 5 febbraio, Giuseppe Bracco è stato trasferito d’urgenza dall’ospedale “Degli Infermi” a quello di Parma. Si sarebbe spento due giorni più tardi, a 71 anni.
«Quando siamo arrivati a Parma – ricorda Leandro Bracco -, dopo un quarto d’ora è venuto un medico e ci ha detto: “Guardate che la situazione è disperata, perché ha la sindrome di Lyell”. A Biella mai nessuno ce ne aveva parlato».
Due giorni dopo, come detto, Giuseppe Bracco è morto. E i familiari si sono chiesti perché da Ponderano non fosse stato trasferito prima in un centro specializzato.
In seguito la procura di Biella ha aperto un fascicolo, ipotizzando il reato di responsabilità colposa per lesioni personali.
«Tutte le cartelle cliniche sono state sequestrate e sono in mano ai pm – ha sottolineato il figlio a “Chi l’ha visto?” -. La mia famiglia vuole verità e giustizia, non indennizzi o risarcimenti».
Una posizione confermata dalla sorella: «Se qualcuno ha sbagliato, sia fatta luce. Perché non accada a nessun altro».
Di qui l’appello lanciato al termine della trasmissione: “Proprio per essere utili al prosieguo delle indagini, chiediamo solo se qualcuno sia stato presente in quel periodo e abbia notato fatti da riferire relativi alla degenza di Giuseppe Bracco”.
Dal canto suo, l’Asl di Biella, proprio perché c’è un’indagine aperta, preferisce non entrare nel merito della vicenda: «Come Asl rispettiamo l’operato delle autorità giudiziarie e dal momento che vi sono al momento indagini in corso riteniamo non sia opportuno intervenire sul caso. Come Azienda, riponiamo fiducia nell’operato del nostro personale e, come sempre, siamo a disposizione degli organi inquirenti per fornire tutte le delucidazioni del caso».

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