Cronaca
Antico buono del tesoro in casa? Oggi non vale più
Antico buono del Tesoro può valere una fortuna, ma solo sulla carta: in realtà non è più incassabile.
Antico buono custodito per una vita in casa, la storia di un biellese
Quando ha scoperto che quel buono del Tesoro risalente agli anni ‘30, conservato come ricordo del padre, oggi potrebbe valere ancora, Corrado ha inviato fotografie e documentazione a un’associazione che si occupa di questi casi. Ha quindi scoperto che sì, quelle cedole oggi valgono in teoria svariate migliaia di euro, ma anche che quel denaro non è più esigibile.
Questo succedeva un paio di anni fa e per l’uomo, residente a Vigliano, era finita lì. Nei giorni scorsi, però, la storia è tornata inspiegabilmente alla ribalta: l’avvocato di un’associazione milanese – tale Fondazione Italiana Risparmiatori – ha contattato i media locali per raccontare la storia di Corrado, sostenendo che fosse stato “conferito mandato al nostro ufficio legale per agire al fine del recupero della somma presso le Poste italiane ed il Ministero delle Finanze, obbligati in solido ad “onorare” tutti i debiti esistenti anche prima dell’avvento della Repubblica Italiana”.
Nella mail si parla di un “tesoretto” stimato in circa 30mila euro.
Apparentemente una bella notizia, insomma. Se non fosse che Corrado è caduto dalle nuvole.
«Per me – racconta – la questione era stata chiusa un paio di anni fa. Qualche mese dopo aver mandato il materiale da valutare, infatti, mi era stato risposto che non si poteva fare nulla e dunque avevo lasciato perdere. Avevo chiesto solo informazioni, quindi di queste “novità” non so assolutamente niente».
La storia
Vale la pena di fare una premessa e raccontare la storia del Buono del Tesoro in questione: «L’ho sempre considerato una sorta di cimelio – spiega Corrado –, un ricordo di mio papà. Tanto che era stato messo in un quadro, così come il certificato dell’oro donato alla patria».
Il padre Riccardo, classe 1898, nato a Biella, era un reduce della Prima Guerra Mondiale, alla quale aveva preso parte col grado di sergente. Imprenditore in ambito tessile, nel corso degli anni era divenuto prima cavaliere del Regno d’Italia, poi commendatore della Repubblica Italiana. E proprio in quegli anni aveva comprato una quota di debito del regno.
«L’acquisto risale all’estate del 1934 – continua a raccontare Corrado -. Si tratta di un buono del valore di 500 lire di capitale nominale. Delle sette cedole, sei sono ancora attaccate. Probabilmente una era stata invece incassata».
La notizia sui giornali
Per molti anni Corrado non ha mai pensato al possibile valore del buono, fino a quando non ha letto una notizia su un giornale: «Veniva riportata una storia simile alla mia, in cui il protagonista aveva ricevuto un rimborso dallo Stato. Se non ricordo male».
Quindi, rivolgendosi ai contatti indicati proprio nell’articolo, aveva tentato di scoprire se ci fosse qualche margine anche per lui: «Avevo mandato documentazione e materiale fotografico a un ufficio di Roma. Era la Agitalia. E da loro, quattro mesi dopo, avevo ricevuto risposta negativa sulla possibilità di incassare il buono».
Due anni dopo la storia salta di nuovo fuori
Resta da capire, allora, chi ci sia dietro alla mail inviata nei giorni scorsi. Contattato, l’avvocato in questione ci ha detto di rivolgerci direttamente all’interessato, telefonando al numero di cellulare indicato sulla mail. Ricontattato poi per ulteriori informazioni – dopo che proprio il viglianese ci aveva spiegato di non sapere nulla di questa ulteriore evoluzione della vicenda – il legale ha risposto che del caso si era occupata a suo tempo un’altra collega, per conto di Agitalia, appunto. E che ci avrebbe inviato via mail ulteriori dettagli.
I “precedenti”
E’ bastato fare qualche ricerca su Google per scoprire che storie come questa sono abbastanza frequenti. Dietro di esse, negli ultimi casi, sembra esserci la F.I.R. (Fondazione Italiana Risparmiatori), il cui sito internet risulta essere stato creato a dicembre 2017. Non solo, sul web ci sono già numerosi articoli che ne parlano. E non sempre positivamente. Uno di questi è stato pubblicato pochi giorni fa sul Corriere della Sera, a firma di Paolo Beltramin e tratta della cosiddetta “fabbrica delle fake news”.
“Resta da capire come fa questa fondazione a intercettare così tante storie incredibili, eppure ripetitive – scrive -. Il sito web ufficiale della Fir la presenta come «un’associazione di consumatori e utenti, liberamente costituita, autonoma, senza fini di lucro e a base democratica e partecipativa». Nei contatti, però, non ci sono né un numero fisso né nomi propri, solo un cellulare anonimo. A una ricerca più approfondita, si scopre che la Fir non è nel registro delle fondazioni lombarde, non ha codice fiscale né partita Iva; lo stesso sito web è stato registrato appena quattro mesi fa, nella Repubblica Ceca. In compenso viene indicata la sede, davvero prestigiosa: via Tortona 37 a Milano, nel cuore del distretto della moda e del design, proprio dove in questi giorni è in scena il Salone del Mobile. Mercoledì mattina, però, i custodi giuravano di non saperne nulla: «Qui c’è una sola fondazione, dedicata a Gianfranco Ferré»”.
Non è nemmeno da escludere che dietro ai nuovi casi eclatanti possano esserci, in realtà, anche un altro avvocato, più volte finito alla ribalta nazionale per aver “pompato” (anche se tutto legalmente) le storie – “pizzicato” da Striscia la Notizia, oltre che da diversi quotidiani -, e il suo staff.
Vicende come quella del signore viglianese sono vere. Quella che risulta essere meno vera è la possibilità di incassare il denaro. Secondo la legge dell’epoca, infatti, i buoni trentennali cessavano di essere fruttiferi dal 31° anno. Ed eventuali rimborsi dovevano essere chiesti entro i cinque anni successivi. Altrimenti tutto sarebbe caduto in prescrizione.
Ma se non pare essere possibile riscuoterli, perché queste associazioni e fondazioni pubblicizzano tali incredibili vicende?
La spiegazione del padre di “Butac”
Per capirci qualcosa in più, abbiamo provato a girare la domanda a Michelangelo Coltelli, fondatore di “Butac – Bufale un tanto al chilo”, celebre blog che nel recente passato ha seguito da vicino anche questi casi.
«Quando ad occuparsene era Agitalia – spiega -, c’era un guadagno per quell’avvocato, perché chi si rivolgeva a loro, magari per saperne di più su un buono trovato in casa, doveva iscriversi all’associazione e versare una quota. Oggi onestamente non so».
«Una spiegazione univoca – prosegue – non ce l’ho. A me viene il dubbio che a questa persona piaccia apparire e mostrare le “falle” giornalistiche. Secondo me si diverte a prenderci in giro. Quando mi occupai di lui, dopo un po’ di tempo mi arrivò una mail: addirittura mi proponeva di collaborare insieme».
Fake news o notizie pompate che addirittura in passato hanno varcato i confini nazionali: «Ho trovato notizie di Agitalia addirittura in Grecia, sono storie che riempiono i giornali. Forse proprio per questo le inviano alle redazioni, per farsi conoscere e trovare altri potenziali clienti, instillando in loro l’illusione di poter davvero incassare questi buoni».
Sa come muoversi evidentemente, perché è tutto comunque legale. Non vi sono certezze, inoltre, che dietro ai nuovi casi – tra i quali quello che ha visto inconsapevole protagonista il viglianese – ci sia la stessa persona.
I consigli della polizia postale
Insomma, sembra essere una situazione abbastanza border line, anche se rimane nel recinto del legale.
Interpellata al riguardo, anche la polizia invita tutti i cittadini a prestare sempre attenzione.
«La Polizia postale e delle comunicazioni – ricorda l’ispettore capo Andrea Andreotti -, quando un cittadino ha dubbi, consiglia sempre di rivolgersi a consulenti finanziari di fiducia e comprovata affidabilità e di non dare credito a persone che promettono incredibili risultati».
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