AttualitàBiella
“Vivere a Gaza, ecco com’è il nostro inferno quotidiano”
Intervista esclusiva dei biellesi Vittorio Barazzotto e Sara Novaretti a una coppia che vive a Gaza
Non possiamo fare rientrare la vita a Gaza prima del 7 ottobre 2023 nei nostri canoni di normalità, perché è stato comunque un territorio tenuto sotto assedio per 17 anni, ma c’è ormai un prima e un dopo, dal punto di vista geopolitico e, soprattutto, nella quotidianità dei cittadini della Striscia.
Questo è il racconto di una giovane coppia palestinese, della loro famiglia, di quella che è la vita a Gaza oggi, di cosa è cambiato dopo il 7 ottobre 2023. Siamo riusciti ad avere un collegamento telefonico e a parlare con loro per più di due ore. La loro voglia, il loro bisogno di raccontare era palpabile e la nostra commozione sicuramente di più.
“A Gaza un chilo di farina costa 50 dollari. Il cibo non arriva mai ai centri di distribuzione ufficiali, viene saccheggiato prima”
«I primi tre mesi sono stati un inferno, con bombardamenti ogni 30 secondi – racconta la coppia – e c’è stato un primo esodo. Chi è rimasto ha potuto inizialmente contare sul supporto di aiuti umanitari che arrivavano a Gaza nord. Un milione di persone non ha più casa e un altro milione ha la casa parzialmente distrutta. Lo scorso dicembre, hanno sparato sulla nostra casa e siamo scappati, noi due, mia madre e i nostri due bambini. Siamo usciti semi svestiti, afferrando poche cose, a piedi. A gennaio 2025 è stato siglato un cessate il fuoco, rotto da Israele a marzo. Da allora, fino a luglio, nessun tipo di aiuto ha potuto entrare a Gaza. I prezzi del poco cibo disponibile sono cresciuti a dismisura, rendendo inaccessibile ai più l’acquisto di qualunque cosa al mercato nero, l’unico mercato disponibile. Un chilo di farina costa 50 dollari e quasi nessuno se lo può permettere. Chi, come noi, riceve uno stipendio è sicuramente più fortunato, ma nella realtà, non c’è denaro contante disponibile, così “vendiamo” il nostro stipendio per la metà del suo valore in contante. Se il tuo stipendio è 100, chi ti da il contante te ne da 50 e si tiene gli altri 50».
«Non vediamo frutta, verdura, carne, pesce, uova da due anni: 1 chilo di pomodori costa 35 dollari e 1 chilo di carne 200 – continuano a raccontare -. Siamo denutriti: io ho perso 15 chili e mio marito 35. A luglio sono arrivati pochi, sporadici rifornimenti di cibo. I convogli che li trasportano sono assaliti da gente affamata e il cibo non arriva mai ai centri di distribuzione ufficiali, ma viene saccheggiato prima o venduto a prezzi altissimi al mercato nero».
“La gente è talmente allo stremo che beve da pozze in cui l’acqua piovana si mischia alle acque reflue”
Le emergenze, però, sono su tutti i fronti: «La disponibilità di acqua non esiste più; tutte le infrastrutture, gli acquedotti e i sistemi fognari sono stati distrutti – sono le parole dei due abitanti di Gaza -. L’acqua potabile viene distribuita da autobotti, in quantità limitate e in postazioni spesso difficili da raggiungere a piedi, sotto il sole cocente e in condizioni di pericolo. La gente è talmente allo stremo, che spesso beve da pozze in cui l’acqua piovana si mischia alle acque reflue».
“Non c’è gas, per cuocere cibo si bruciano perfino le taniche di plastica”
Le condizioni igieniche sono terribili: «Sapone o shampoo sono praticamente introvabili e la sensibilizzazione che si cerca di fare a riguardo, così come sull’inquinamento, viene ignorata o derisa dalla gente che ha come unico obiettivo quotidiano la sopravvivenza. Cumuli di immondizia portano malattie che rappresentano altre cause di morte. Negli anni passati, ci si è ingegnati per supplire alla mancanza di carburante e si è riusciti a ottenere una sorta di diesel dalla plastica, per cui le taniche venivano portate nei luoghi in cui avveniva la trasformazione. Ora, senza gas disponibile, le taniche di plastica vengono bruciate per cuocere il poco cibo a disposizione».
“Ospedali senza attrezzature e medicine, spesso si assiste semplicemente alla morte dei pazienti”
La possibilità di accedere alle cure mediche è ridotta ai minimi termini: «Esistevano sei ospedali a Gaza city – spiegano a questo proposito -. Il più grande, ora, è distrutto per il 90 per cento e anche quando vi si può accedere, non ci sono né attrezzature, né strumentazione e tantomeno medicine. Nell’impossibilità di intervenire, si assiste semplicemente alla morte dei pazienti. Chi soffre di patologie croniche o chi ha bisogno di trattamenti continuativi non può ricevere le medicine necessarie e che, se va bene, sono disponibili ogni tre mesi. La nostra quotidianità consiste nell’alzarsi presto ogni mattina, camminare chilometri per raggiungere un’autobotte e fare almeno un paio di ore di coda per assicurarsi qualche litro di acqua. Dopodiché andiamo al mercato nero per cercare un minimo di cibo; proviamo a cucinare, usando la legna, visto che non c’è gas da due anni. Il prezzo della legna prima era di dieci centesimi al chilo; ora costa due dollari al chilo. Chi non se lo può permettere brucia vestiti, plastica o qualsiasi cosa sia minimamente combustibile, anche se tossica: ve lo immaginate cosa significa per una madre cuocere il cibo per i propri figli sapendo che li sta sfamando e avvelenando nello stesso tempo?».
“I bambini non hanno più scuole. Né posti sicuri in cui giocare”
Per quanto riguarda l’istruzione, la situazione non è certo migliore.
«Non esiste scuola di alcun tipo da due anni – sottolinea la coppia -. Gli edifici rimasti in piedi vengono usati come rifugi per gli sfollati. Gli insegnanti sono senza lavoro e senza stipendio. I bambini non hanno accesso ad alcun tipo di istruzione, né a un luogo sicuro in cui giocare. Nascono ora delle iniziative per supplire a questa mancanza, ma la priorità è di gran lunga la fame. Difficilissima anche qualsiasi azione di supporto psicosociale».
“Usciamo la mattina per andare a lavorare e non sappiamo se torneremo”
Sembra che si viva in un eterno presente senza prospettive, l’unica cosa che conta è cercare di sopravvivere: «Entrambi usciamo la mattina per andare a lavorare e non sappiamo se torneremo. Camminiamo chilometri in condizioni di non sicurezza e portiamo i bambini da mia madre, che vive in una tenda. Non c’è spazio per il gioco, la gioia e la spensieratezza. Un giorno però, un’operatrice che lavora con me mi ha dato un pezzo di cioccolata per i bambini. Quando gliel’ho portata, hanno iniziato ad urlare e a ballare dalla gioia. Erano così emozionati, che non la volevano neppure mangiare. Mi si è spezzato il cuore».
“Il futuro? Non possiamo nemmeno permetterci di immaginarlo. Sogniamo di avere acqua e medicine, una casa, una vita dignitosa. E una voce”
«Non possiamo permetterci di immaginare il futuro – conclude la donna – perché dobbiamo pensare a sopravvivere nel presente, accompagnati in ogni momento da preoccupazione e speranza. Quando abbiamo letto le notizie della dichiarazione della volontà di occupare Gaza da parte di Israele, siamo caduti nello sconforto: dove andremo? Cosa porteremo con noi? Non abbiamo un posto dove andare. Soffriamo, ma noi apparteniamo a Gaza e non dimenticheremo i tempi in cui siamo stati felici. Qual è il mio sogno? Sogno di vivere in sicurezza, per i miei figli; sogno una vita dignitosa, acqua, medicine, una casa, un buon lavoro. Voglio avere una voce».
E noi, qui o ovunque ci si possa esprimere, vogliamo che lei la sua voce la possa avere.
(Fotografie di Emergency)
Vittorio Barazzotto
Sara Novaretti
Il nostro piccolo contributo per dare voce a chi non ne ha
Grazie all’aiuto di Edoardo Tagliani e al prezioso sostegno di Sara Novaretti, ci siamo messi in contatto con una coppia di palestinesi per un’intervista durata più di due ore. Abbiamo raccolto la loro testimonianza, riassunta nel pezzo scritto con Sara. Non è stato semplice comunicare con chi vive nell’inferno della striscia di Gaza. Per ragioni di sicurezza non possiamo diffondere i loro nomi e la loro professione, ma poco importa perché le parole che abbiamo raccolto delineano uno scenario che accomuna migliaia di persone in questo momento. Abbiamo fatto un riepilogo essenziale, senza giudizi, le loro parole spiegano tutto. E’ il nostro piccolissimo contributo per dare voce a chi ne è sprovvisto, per aprire un varco nella nebbia di una realtà dolorosa e celata.
Vittorio Barazzotto
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Sandro
24 Agosto 2025 at 8:57
Presto l’unica voce che si potrà ascoltare in quelle terre sarà quella della lingua ebraica. Speriamo molto presto.
Bruno
24 Agosto 2025 at 9:37
gli israeliani sono diventati peggio dei terroristi di Hamas , è genocidio non bisogna più dare armi ne comprare prodotti israeliani , c e un disegno ta israeliani e americani che non conosciamo ma non diciamo democratico ma di nazifascismo totale
Giuseppe Torri
24 Agosto 2025 at 18:21
Il disegno è molto chiaro: ripulire completamente il medio Oriente dalla minaccia islamica. L’Iran ha già avuto un assaggio della potenza militare israeliana, e la partita verrà chiusa anche li. Poi sarà la volta dell’Oman. Non c’è posto per i regimi islamici sul Pianeta Terra.
Chi scrive di nazifascismo non sa proprio di cosa sta parlando e non conosce affatto cosa era il nazifascismo. Il metodo israeliano è molto più simile a quello russo, con la differenza che l’esercito russo non vale assolutamente nulla a livello tattico, strategico e logistico (per fortuna). Hamas ha giocato col fuoco per decenni, sperava che il mondo arabo sarebbe insorto contro Israele all’indomani della reazione (che si sapeva sarebbe stata epocale) ma non hanno fatto i conti col fatto che al mondo arabo non ne frega assolutamente nulla dei palestinesi, anzi sono ben lieti di toglierseli dalle palle una volta per tutte. Forse non è chiaro ai più che in quelle terre, i “mediorientali” non sono tutti uguali e che in Israele vivono e lavorano migliaia di arabi che hanno accolto la notizia della reazione di Israele con una alzata di spalle. Liberare gli ostaggi è una scusa oramai, sanno bene che non ne salveranno più nessuno. L’unica cosa che conta adesso è radere al suolo tutto e tutti, applicare il metodo Cartagine.
Le “proteste” di piazza dei 4 gatti di sinistra che sventolano le bandiere dello stato che non esisterà mai restano ciò che sono: il nulla. Israele non si fermerà fino a che non avrà cancellato tutto e tutti dalla faccia della Terra e non c’è nessuno che può farci qualcosa. Di sicuro non temono nel le “pericolose” manifestazioni” ne le dichiarazioni di questo è quello.
Sonia
24 Agosto 2025 at 10:36
VIVERE A BIELLA, ECCO IL NOSTRO SCONFORTO E DISAGIO QUOTIDIANO…CHE SQUALLORE……
Giuseppe Torri
24 Agosto 2025 at 18:22
Guarda che nessuno ti costringere a vivere a Biella. Puoi trasferirti altrove. Però ti consiglio di cambiare la tastiera perchè quella che usi ora scrive solo in maiuscolo, quindi è sicuramente rotta.
Bruno
24 Agosto 2025 at 20:21
infatti bisogna armare i palestinesi distribuire a loro armi tante armi e cibo poi vedremo cosa fa Israele altro che sparare a gente inerme e sui vecchi e bambini Giuseppe tutto cambierà ricordati che odio chiama odio e niente verrà cancellato
Giuseppe Torri
25 Agosto 2025 at 8:31
Quanta ignoranza. Tu non hai assolutamente idea di ciò di cui stai parlando. In quanto ad armare i palestinesi, quelli armati sono quelli di Hamas e cosa hanno ottenuto in decenni di attacchi? Assolutamente NULLA se non fare in cazzare Israele ancora di più. Armeresti chi, sentiamo, e per fare cosa esattamente? Sparare un paio di colpi sui carri armati e sui soldati dell’Esercito più potente del Mondo e scatenare una reazione ancora più violenta? Parli solo perchè non sai come stanno le cose. L’odio ha chiamato l’odio, dopo decenni di odio e violenza questo si è ritorto contro chi lo ha fomentato per decenni ed è vero che tutto cambierà: il nome “palestina” verrà presto cancellato dalla faccia della Terra e dalla storia.
Dovrebbero essere nuovamente istituite le Crociate, in chiave moderna, e spazzare via qualsiasi traccia di islam dal Pianeta. Allora ci sarebbe la Pace.
Bruno
25 Agosto 2025 at 13:13
le crociate bisognerebbe farle contro i governi nazifascisti e distruggerli tutti