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“Sono disperato, datemi un lavoro”
Lei faceva le pulizie a casa di tre famiglie, lavorando part-time qualcosa ogni mese tirava su. Lui era originario di Biella e a Biella voleva tornare: così nell’ottobre 2013, dopo aver poco a lungo sopportato le ristrettezze della città, sono tornati nel capoluogo laniero con una valigia piena di speranze per il futuro. Di quelle speranze, oggi, ben poche ne sono rimaste, rimpiazzate dallo sconforto e dalla frustrazione di una delle tante storie figlie di una crisi che sembra non finire mai.
Lui ha 37 anni, lei 36. Si sono sposati due anni fa, nel luglio del 2013, sotto il sole caldo di un’estate che non è durata a lungo. All’inizio hanno vissuto a Torino, la città natale di lei, in un monolocale troppo stretto anche per due persone soltanto, pagato 600 salati euro al mese. Lei faceva le pulizie a casa di tre famiglie, lavorando part-time qualcosa ogni mese tirava su. Lui era originario di Biella e a Biella voleva tornare: così nell’ottobre 2013, dopo aver poco a lungo sopportato le ristrettezze della città, sono tornati nel capoluogo laniero con una valigia piena di speranze per il futuro. Di quelle speranze, oggi, ben poche ne sono rimaste, rimpiazzate dallo sconforto e dalla frustrazione di una delle tante storie figlie di una crisi che sembra non finire mai.
Si chiama Gianluca Pietrini il lui di questa storia, che con voce incolore racconta delle scelte fatte negli ultimi anni insieme alla consorte: «Da quando sono stato licenziato non sono più riuscito a trovare un lavoro fisso che mi porti una busta paga. Ho un contenzioso aperto da tre anni con il mio precedente datore di lavoro che mi deve 7700 euro di stipendi mai pagati, liquidazione mai elargita e danni per licenziamento senza buona causa ottenuti solo sulla carta, vincendo la causa in tribunale, ma che in pratica non ho mai visto. Quando abbiamo deciso di tornare a Biella è stato perchè questa è la mia città, qui volevo vivere e qui avevo una promessa di lavoro su cui contare quando abbiamo deciso di affittare casa». La promessa di lavoro però non basta ai proprietari degli alloggi, che non vogliono arrischiarsi ad affittare a due ragazzi senza un reddito. «Abbiamo trovato un accordo con il proprietario: gli abbiamo proposto di pagargli in anticipo un anno di affitto, così avrei avuto il tempo di cominciare il lavoro promesso e di iniziare poi a pagarlo mensilmente. Lui ha alzato il termine a 15 mesi, abbassando un po’ l’affitto mensile. Gli abbiamo versato 7500 euro pari alle mensilità pattuite più una caparra. Erano i nostri ultimi risparmi». I due novelli sposini entrano in casa nell’ottobre 2013, con un contratto a scadenza il 31 dicembre 2014. Con loro abita anche un ragazzo di 14 anni, il figlio che Gianluca ha avuto da una precedente relazione.
I mesi passano, lei continua a non trovare di che sostituire l’impiego lasciato a Torino, alla fine sfuma anche la promessa di lavoro su cui lui contava. E la situazione precipita. «Sono mesi che faccio domanda ovunque ma niente di niente. Saltano fuori soltanto lavoretti in nero con cui pagare le bollette».
A luglio del 2014 per la coppia arriva la gioia più grande, che in una simile situazione porta purtroppo anche ulteriori preoccupazioni: a casa Pietrini arriva un bebé, un maschietto. «Quando il proprietario l’ha scoperto si è preoccupato, e ha pensato bene di mandarci un telegramma per dirci che a fine contratto avremmo dovuto andarcene perché aveva intenzione di vendere l’alloggio». Senza lavoro, senza risparmi, con un bambino in fasce e una casa a scadenza gli ultimi mesi del 2014 sono una corsa disperata contro il tempo per i due giovani genitori. Ma la mezzanotte del 31 arriva senza che nessun miracolo sia arrivato a soccorrerli.
«Oggi stiamo occupando l’alloggio in affitto, senza la possibilità di pagare né la retta né le spese condominiali. Senza i soldi che mi spettano da anni, senza una busta paga e con un neonato dove possiamo andare? Ad agosto ho scritto al sindaco Cavicchioli una lettera per riuscire a trovare una soluzione, un lavoro, non per avere la carità. Ma non ho ricevuto risposta. Vorrei che, attraverso un appello sul giornale, la sentenza del tribunale e la legge venissero rispettate, così che io possa avere quello che mi spetta e poter pagare quello che uso».
Gaia Quaglio
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