Attualità
Safil, un altro pezzo di Biella se ne va
Caro direttore, posso non unirmi al plauso di chi ha accolto con gioia il passaggio a Sudwolle Group di Safil e GTI?
Caro direttore,
posso non unirmi al plauso di chi ha accolto con gioia il passaggio a Sudwolle Group di Safil e GTI? Per carità, sono ben contento per l’ottimo affare fatto da Alberto e Cesare Savio e da Alberto Frignani … un po’ meno, però, per ciò che questa acquisizione (e soprattutto tutto ciò che le sta dietro) rappresenta per il territorio. Sia chiaro: lungi da me la voglia di fare il “bastian cuntrare” … ma la notizia non è tanto che Safil e GTI sono diventate tedesche, bensì che un altro pezzo della Biella tessile dei (bei) tempi se n’è andato o che, prima o poi, se ne andrà.
Ricordo che scrissi qualcosa del genere anche anni addietro, quando i fratelli Savio presero la decisione di spostare la produzione in Bulgaria, dando vita a Plovdiv a una filiale destinata presto a diventare ben più importante della “casa madre”.
Oggi è soprattutto quell’azienda che i tedeschi di SudWolle hanno acquisito … un impianto di 45.000 metri quadrati, che produce annualmente 7.000 tonnellate di filati pettinati, e in cui lavorano 630 operai: una “dimensione aziendale” ormai impensabile per il Biellese, dove è rimasta la testa del gruppo e qualche pezzo di produzione per così dire “poco esportabile”.
I Savio fecero bene allora (qui in Italia produrre era diventato a dir poco insostenibile) e fanno bene oggi (con i tempi che corrono, “monetizzare” i propri averi non è una cattiva scelta, soprattutto se poi si resta alla guida di ciò che si è contribuito a creare).
Biella però è sempre più la “controfigura sbiadita” di ciò che fu un tempo; e ciò che, con un po’ più di lungimiranza, avrebbe potuto essere (il tessile l’hanno forse inventato i tedeschi?) è ormi un sogno pressoché irraggiungibile.
Tutto, “know how”, marchi, macchinario tessile usato (e prontamente riutilizzato altrove per farci concorrenza) … tutto è andato via da Biella. E gli anni stanno facendo scomparire anche quel “saper fare” che aveva reso unico il nostro territorio. Chi oggi a Biella studia per diventare qualcuno nel tessile? Qualche vietnamita, forse … difficilmente un “biellese doc”; che oggi studia altro e poi, non trovando sbocchi, altro lo va a fare altrove. Poi possiamo raccontarcela, dirci che “gli imprenditori biellesi non esportano solo prodotti di alta gamma” ma anche il già citato “know how”; che però è sempre più simile a un “know out” che pare non avere fine. Resta il fatto che qui di aziende non ne nascono più, che le poche che ci sono passano di mano (e guarda caso finiscono in mano straniera) e che, non essendo noi i diretti interessati, non vedo proprio per qual motivo si debba “far festa”.
Massimo Gioggia
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