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Produzione delle divise nel carcere di Biella

E’ avviata e procede nel migliore dei modi la produzione di divise della polizia penitenziaria

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E’ avviata e procede nel migliore dei modi la produzione di divise della polizia penitenziaria, per tutto il territorio nazionale, all’interno del carcere di via dei Tigli. Un progetto firmato dall’Ermenegildo Zegna, che da tempo collabora per tutte le consulenze tecniche e professionali del caso (gratuitamente). A certificare il funzionamento del progetto, la vicepresidente del Senato della Repubblica, Anna Rossomando, in visita ieri mattina nella struttura biellese.

«Ho visto i macchinari, nuovissimi, e le divise del personale: sia estivo sia invernale, sia per uomini sia per donne. Al momento ci sono circa quaranta persone che lavorano, tutti i giorni, destinate ad aumentare nei prossimi mesi come previsto dai protocolli sottoscritti negli anni passati da tutti i soggetti coinvolti. Il progetto è pienamente operativo, finalmente, nonostante i rallentamenti del caso per via dell’emergenza sanitaria – ha spiegato la senatrice torinese, accompagnata da Rita De Lima del Partito Democratico e da Sonia Caronni,
garante dei detenuti -. Questa è la risposta migliore al tema della sicurezza e delle carceri, senza slogan e facili populismi come qualcuno ama fare sotto i riflettori per poi disinteressarsi di tutto subito dopo che si sono spente le luci. Ecco il perché della mia visita, invece, come testimonianza dell’importanza della vita degli agenti e dei
detenuti all’interno dell’universo carceri, dove non mancano i problemi».
A regime è prevista la produzione annuale di circa 7 mila uniformi composte da 2 kit (estate e inverno) di 1 giacca e 2 pantaloni per gli uomini, e di una giacca, un pantalone e una gonna per il personale femminile. Numeri che al momento sarebbero lontani dall’essere ottenuti.
«Ma il carcere non è una fabbrica, per ovvie ragioni di sicurezza e di formazione professionale e personale di chi lavora. Impossibile fare
confronti – ha spiegato la Rossomando -. La produzione comunque migliorerà al superamento della pandemia, che complica ulteriormente le cose tra distanze da mantenere e misure di prevenzione da rispettare. Intanto ci sono persone che lavorano, si specializzano, costruendosi un futuro per quando saranno fuori dalle mura del carcere in nome dell’eccellenza industriale del territorio e del Made in Italy. Questo per noi deve essere il carcere: non una bolla isolata dal testo del territorio o solo un momento in cui scontare una pena, ma soprattutto un luogo dove rieducarsi. E più interazione tra carcere, istituzioni e realtà produttive della zona c’è, meglio funziona il reinserimento delle persone».
La situazione carceraria biellese è sostanzialmente positiva, rispetto ad altre realtà piemontesi e nazionali. Al momento sono dietro le sbarre circa 380 detenuti su una capienza massima di quasi 600 unità. «C’è però una strutturale carenza di personale, sia di polizia sia amministrativo – ha spiegato la responsabile nazionale giustizia del Partito democratico -. E soprattutto non c’è abbastanza personale medico, specializzato e non. Inoltre abbiamo registrato la grande difficoltà, una volta usciti dal carcere, per molte persone, a ottenere il “green pass”, per problemi burocratici. Sia persone di nazionalità italiana sia straniera. Qui è stato fatto un ottimo lavoro sul piano della vaccinazione, ma fuori ci si scontra con problemi burocratici che segnalerò in Regione e in Senato. Prossimamente mi recherò in visita in altre strutture penitenziarie del territorio piemontese e italiano».
Paolo La Bua

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