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“Prigionieri in aereo con oltre 40 gradi”

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Per oltre quaranta minuti chiusi in un aereo senza aria condizionata e impossibilitato a decollare. E’ la disavventura vissuta dai passeggeri del volo Roma-Milano Malpensa di lunedì sera, tra i quali c’era anche Alessandra Guarini, avvocato biellese che ha intenzione di andare fino in fondo per ottenere giustizia.

Per oltre quaranta minuti chiusi in un aereo senza aria condizionata e impossibilitato a decollare. E’ la disavventura vissuta dai passeggeri del volo Roma-Milano Malpensa di lunedì sera, tra i quali c’era anche Alessandra Guarini, avvocato biellese che ha intenzione di andare fino in fondo per ottenere giustizia.

«Sul volo EasyJet del 27 luglio – spiega – è accaduto qualcosa di surreale e gravissimo. Oltre agli indennizzi previsti dai regolamenti comunitari, faremo di tutto per ottenere un risarcimento per il disagio psicofisico che ci è stato causato».

L’avvocato ricostruisce l’ora e mezza da incubo vissuta all’aeroporto di Fiumicino.

«Il volo – racconta – era previsto per le 19,55, ma l’imbarco è avvenuto con un ritardo di un’ora. Una situazione gestita malissimo, ma a questo siamo ormai abituati. I problemi sono iniziati una volta saliti sull’aereo. L’impianto dell’aria condizionata non funzionava, non si respirava e faceva molto caldo. Nonostante ciò, per quanto stupiti, abbiamo preso posto. Subito è arrivato il primo annuncio del comandante: “Vi sarete accorti che l’impianto di condizionamento non funziona. Tranquilli, è arrivata l’assistenza tecnica, ci daranno l’aria dall’esterno in attesa dell’autorizzazione al decollo”».

Passano i minuti senza che succeda nulla, poi arriva il secondo annuncio. Il comandante, stando a quanto riferito dalla passeggera biellese, spiega che i tecnici non riescono a risolvere il problema, ma afferma che intanto verranno accesi i motori – sempre in attesa dell’autorizzazione al decollo – e ribadisce che l’aria condizionata verrà fornita dall’esterno. Trascorrono altri minuti e la situazione non cambia, l’inquietudine cresce.

«Respiravo a fatica anche per via dell’asma – continua Guarini -. La temperatura interna era elevatissima, superava i 40 gradi. Alcuni passeggeri hanno manifestato i primi malori, anche una hostess ha avuto un mancamento perché il calore era insopportabile. Poi è arrivato il terzo annuncio: “Non riesco ad accendere motori”. A quel punto ci siamo agitati perché nel frattempo erano state ritirate le scalette e chiuse le porte. Una donna incinta è addirittura svenuta. Sempre più preoccupati, abbiamo iniziato a pretendere di uscire, qualcuno si è messo a urlare».

Tuttavia, in assenza di navette, i passeggeri non potevano scendere per via del regolamento che vieta la presenza di persone sulla pista.

«Ormai – racconta ancora l’avvocato biellese – erano quasi le 22 e a Fiumicino stavano smobilitando (l’aeroporto chiude per alcune ore durante la notte), quindi ho detto allo steward: “Io scendo, non mi interessa nulla del vostro regolamento: corro più rischi qui dentro che non sotto l’aereo”. Lui continuava a sostenere che non fosse possibile, gli ho risposto che si trattava di stato di necessità: “Provi a fermarmi e vediamo chi la spunta».

Alla fine, di fronte a un vero e proprio “ammutinamento” dei passeggeri, tutti riescono a scendere: «E’ venuto con noi anche il comandante, l’unico col giubbottino catarifrangente. Le navette sono arrivate dopo diversi minuti e ci hanno portati agli arrivi del terminal 1, peccato che i banchi assistenza di EasyJet fossero al terminal 2. Così ci siamo rivolti ai carabinieri che hanno rintracciato i responsabili della compagnia. Una volta giunti al terminal 2 è iniziata un’altra agonia. Siamo stati costretti a ripartire il giorno dopo e smistati su una serie di alberghi della zona aeroportuale con modalità poco ortodosse: non c’erano autobus per il trasporto dei passeggeri e nemmeno taxi disponibili. Ci siamo dovuti arrangiare e abbiamo pagato noi il trasporto, quando invece la compagnia era tenuta a organizzare anche il trasferimento».

Alessandra Guarini è ancora furibonda mentre ripensa a quanto vissuto alcuni giorni prima: «Una cancellazione può capitare, il ritardo è ormai la normalità, ma in questo caso siamo stati esposti a un gravissimo disagio psicofisico perché segregati all’interno della carlinga per moltissimi minuti, al punto da avvertire malori. Io stessa, tornata a Biella, sono andata al Pronto soccorso e mi è stata certificata una difficoltà respiratoria. I medici mi hanno prescritto cortisone e farmaci per riaprire le vie aeree. Se ripenso a quanto successo, trovo tutto assurdo. Addirittura, una volta scesi a terra, nessuno si è preoccupato di farci avere dell’acqua nonostante fossimo tutti sfiniti…».

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