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Per tentare di guardarci allo specchio e non piacerci

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Erano quattro amici al bar. Non so se volessero cambiare il mondo, ma quando si sono alzati di lì lo han fatto per raccontarmi una storia di straordinaria follia… biellese. Loro ci rifletteranno ancora a lungo e ne parleremo meglio, ne parleranno meglio, in altri spazi e con ben altro piglio. Magari tra un bicchier di Coca e un caffè. Qui ci limitiamo a fissarci su un dettaglio, che va in contraddizione con la leggendaria morigeratezza locale. Che in fondo basta poco ai Biellesi: basta mettere il naso fuori dall’isola felice che si sono costruiti in casa a furor di retorica, per scatenarsi nell’eccesso e nella megalomania. Fate finta che uno di noi – biellesi – vada in vacanza a Rio de Janeiro e, già atterrando, veda dall’alto quell’immensa statua del Cristo redentore che lo abbraccia dal Corcovado. Fatelo scendere da quell’aereo anni ’50 e alzare il naso per vederlo più da vicino: vuoi che uno come Stefano Rivetti, conte di Val Cervo, non se lo porti “a casa”? Detto fatto. Poi, a casa casa, in realtà non se lo porta. Ma se a sua seconda casa ha eletto Maratea, grazie ai fondi della famigerata Cassa del Mezzogiorno di democristiana memoria, lo porta proprio lì. A Maratea. Così, a distanza di oltre cinquant’anni, in Basilicata si ritrovano con la statua del Cristo redentore più alta del mondo dopo quella di Rio. Eretta da un biellese, che ne affidò la realizzazione a Bruno Innocenti, artista fiorentino in voga all’epoca. E ora i marateoti la venerano come un simbolo del territorio. A dirla tutta, quell’enormità che dà le spalle al mare, e a un panorama magnifico, dalla cima del monte San Biagio, è brutta forte. E lo dice pure Sgarbi che pare l’abbia definita “la scultura più brutta d’Italia”. Così come la poetessa e scrittrice austriaca Ingeborg Bachmann, che in un suo racconto la descrisse come “una statua così terrificante”. Ma, per non farsi mancare nulla, il nostro conte si fece comunque seppellire ai suoi piedi: alla faccia della morigeratezza biellese!

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