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Non ci resta che allargare le braccia

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Fonzarelli di provincia

BIELLA – È quasi inverno, nevica e fa buio presto. Chiusi in casa, all’ora del Muppet Show, ora che siamo cresciuti, va in onda la diretta social show del nostro sindaco in versione pantone. Ogni volta dà i numeri. Sembrano essere in calo (sempre che 192 ricoverati per Covid vi sembrino pochi), ma è stato a dir poco esilarante sentire lui, verde leghista nell’animo e nelle cravatte, dichiarare il Piemonte zona rossa. Da allora scavalla il suo personale palinsesto di colore in colore, con l‘aria affranta di chi non c’entra nulla e passava di lì per caso.

Al suo innocuo giocherellare si somma però la schizofrenia del nostro presidente di regione, che ciurla nel manico dell’ambiguità dei dati per rivendicare un colore diverso dal rosso.

Salvo poi indignarsi pubblicamente perché la gente esce quando si aprono i negozi. Chi l’avrebbe mai detto. Ma è una posizione buona proprio per la sua ambiguità: soddisfare gli insoddisfatti da lockdown e dire che non è colpa sua, che lui alla salute della gente ci tiene. Anche se la gente è cattiva ed esce di casa perché lui l’ha messa in condizioni di farlo. A questo punto, la faccenda sembra sempre più a un daltonico gioco di società, diversamente colorati come siamo: peschi il jolly, esci di prigione e non ti fanno passare dal via. Allarghiamo le braccia.

Il nostro sceriffone sorride invece giulivo quando, oltre a darci i numeri ci dà anche la classifica della qualità della vita in Italia. E sbandiera come evento epocale il miglioramento di qualche posizione per la nostra città, sottintendendone il proprio merito. Che noia, ogni anno la stessa farsa: esce la classifica di Italia Oggi e quale che sia l’amministrazione in carica si fregia dei successi come fossero suoi e non, magari, l’insieme più o meno casuale – e spesso non causale – di fattori indipendenti dalla sua volontà politico-amministrativa. E sempre, sempre, senza riflettere sulle posizioni perse e sui rimedi da mettere in campo. Semplicemente, si spera che, con Italia Oggi, il prossimo anno rimescolando le carte della classifica ci tocchi una buona mano da rivendere ai giornali locali con le solite parole. Niente, proprio non riusciamo ad andare oltre allo slogan e all’annuncio, mai.

Intanto, da buoni orchestrali del Titanic quali sono, incuranti del fatto che il nostro Paese vanti uno dei peggiori indici di letalità al mondo per il Covid (per capirci: dopo Messico e Iran e prima di Usa e Brasile siamo uno dei Paesi in cui si muore di più), politici nostrani e amministratori locali stanno a disquisire di cenoni e skypass sventolando un lieve rallentamento dei contagi, pur se l’Italia si trova nella zona alta della classifica di questa seconda ondata. Un ingiustificato ottimismo diffuso, ma andrà tutto bene e invece di Babbo Natale o Gesù Bambino arriverà il vaccino che, con l’Epifania, il Covid e le feste se le porta via. Ci sarebbe da riflettere meglio su ben altri numeri.

Ai posti di manovra dell’Istruzione ci sono due donne biellesi: una al Governo, che davamo per persa a rincorrere banchi con le rotelle e che ora invoca una surreale riapertura delle scuole il 14 dicembre; l’altra in Regione, ma sembra più impegnata nel litigare con la prima piuttosto che ragionare sul sistema scuola. A dimostrazione che anche le donne sbiellano come gli uomini, senza differenza di genere.

A proposito di scuole, la rivista Wired ha fatto una cosa intelligente: una richiesta Foia di accesso agli atti ministeriali sui dati di contagio nelle scuole. Al 31 ottobre dai dati, comunicati a fatica, risultavano contagiati in 64.980 tra studenti e lavoratori della scuola. Il Piemonte, in quanto a incidenza dei contagi scolastici rispetto a quelli generali, è tra le regioni più compromesse: al secondo posto, dopo l’Umbria. E, tra le province piemontesi, Biella viene subito dopo Cuneo per l’incidenza percentuale di contagi scolatici. Tutto ciò pare contraddire la vulgata secondo la quale le scuole non sono focolai o non rischiano di diventarlo, anche a causa di una mala gestione della logistica legata alla scuola stessa (i trasporti, per esempio), ma non certo solo per quello.

A queste informazioni, già che ci siamo, aggiungiamo un sondaggio Swg della settimana scorsa in cui la maggioranza dei genitori sarebbe dell’idea di riaprire le scuole solo dopo le festività natalizie, e che, sempre per la maggioranza dei genitori, l’utilizzo della didattica a distanza dovrebbe diventare una costante della scuola italiana. Poi leggiamo di una dichiarazione del presidente dell’Associazione nazionale presidi, che rivela alcuni dati del Ministero a proposito della didattica a distanza: “I docenti che si sono iscritti a corsi di formazione sono stati 570mila, significa che almeno 230mila non si sono aggiornati”. Allarghiamo le braccia, ancora una volta. Prima o poi ci cascano.

Lele Ghisio

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