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Mário Jardel, in testa una “Biella” idea!

Due Scarpe d’Oro (in una carriera ricca di trionfi) e una città (la nostra) a misura d’uomo

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Biella Città Creativa Unesco. E da un mese anche “Capitale” del gol facile. Come? Ospitando un pezzo da novanta del football mondiale: Mário Jardel. Per completezza anagrafica: Mário Jardel Almeida Ribeiro. Quarant’otto anni, brasiliano di Fortaleza, capitale dello stato di Ceará, ma portoghese d’adozione. Proprio in Portogallo ha edificato il suo impero. E che impero!

Il palmarès

Due Scarpe d’Oro, una terza “scippata” dalla Uefa (ma poco importa), due volte tiratore scelto in Champions League, una nella Copa Libertadores, cinque volte capocanniere in Portogallo, dove ha vinto quattro scudetti con altrettante affermazioni in Supercoppa. E 500 gol in carriera (in gare ufficiali!). Tutti indizi che farebbero pensare a Cristiano Ronaldo. Niente di più sbagliato! Si potrebbe leggere e catalogare con il codice CR7, invece la password è un’altra: MJ16! Una cosa però non esclude l’altra, accomunando le due icone calcistiche e cucendole con un fil rouge a trama lusitana. Le loro strade s’incrociano a Lisbona, dove SuperMario conquista la torcida biancoverde nonostante un cospicuo passato con i rivali di sempre del Porto. Anche in questo caso la medicina per continuare a dominare la scena è semplice. Per lui semplicissima: Sua Maestà il gol. Anche a Lisbona il plus minus tra partite giocate e reti realizzate valica la fatidica soglia del (quasi) impossibile: 49/53! Tanto ma niente al confronto dell’impresa firmata in un 4 anni (125/130!!) con i Dragões biancoblu. Ebbene mentre Jardel deliziava la platea dello Sporting con numeri altisonanti, alle sue spalle un giovane Cristiano Ronaldo imparava l’arte del suo idolo. E la metteva da parte. In quello che oggi è CR7 c’è parecchio di Màrio Jardel, soprattutto i consigli da fratello maggiore di quell’epoca. Anche questo è un trionfo, impossibile da conservare in bacheca, ma da custodire tra i ricordi più belli nel cuore e della mente invece si. Materialmente spiccano altri “tituli”: una Supercoppa Uefa, una Copa Libertadores, una Recopa Sudamericana, sei scudetti in Brasile e uno in Argentina. Ma anche una Coppa nazionale a Cipro e il titolo iridato ai Mondiali Under20 del 1993 in Australia con il suo Brasile, croce e delizia di uno straordinario percorso professionale.

Cittadino onorario

Da un mese a questa parte è facile imbattersi in Màrio Jardel a Biella: in pieno centro, al supermercato, in piscina, al ristorante. Ovunque. E lui non si nasconde, d’altronde dall’alto del suo metro e novanta sarebbe impresa impossibile. Màrio ama il contatto della gente, un po’ meno amava quello fisico dei suoi più spietati francobollatori, anche se il diretto interessato scansa il campo da ogni dubbio: «Perché dovrei fare dei nomi se in realtà non ho mai patito nessuna marcatura in carriera? Mai nessuno mi ha messo in grossa difficoltà, se poi parliamo di botte anche quelle fanno parte del calcio. Non mi piace far nomi in generale, sapete perché? Ve lo spiego: quando Màrio era SuperMàrio tutti evviva Màrio, tutti amici; quando le cose sono andate meno bene nessuno si ricordava di Màrio. Io adesso ricordo tutto, non porto rancore, mantengo e coltivo amicizie. Ma un nome voglio farlo: Ljubinko Drulovic. Ai molti dirà poco o nulla, a me riporta alla mente gli assist che mi ha consegnato su un vassoio d’argento: 100 e anche più». Per Drulovic dunque francobollo meritato: nato in Jugoslavia, classe 1968, dal 2003 sotto la bandiera di Serbia e Montenegro (dal 2006 solo Serbia), ala sinistra veloce ed imprevedibile, icona del Porto dal 1993 al 2001 (225 presenze e 40 reti), ha contribuito alle fortune di Jardel, che oggi gli rende pubblicamente onore.

Obrigado Biella

Tornando al presente e alla nuova location, per Jardel è come stare a casa: «Biella mi piace molto, il centro è accogliente, la gente simpatica. È una città a misura d’uomo. Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo, mentre faccio footing cambio percorsi, ammiro il verde e la tranquillità. Non mi piace il caos, mi fa piacere invece il calore con il quale Biella mi ha accolto. Me ne accorgo mentre faccio la spesa, al bar a prendere un caffè, a tavola. Ovunque. Sento gli occhi della gente addosso, qualcuno mi riconosce, altri no, altri mi scrutano come per dire “dove l’ho visto?”. Però con tutti ho un dialogo, un gesto, un sorriso. I selfie? Centinaia, non li conto più. Se una fotografia o un autografo può rendere felice una persona, anche solo per un minuto, io ci sono. Sempre. Non mi sono mai sottratto a questo, d’altronde sono un privilegiato rispetto a tante altre categorie. Un futuro a Biella? Non è da escludere, essenzialmente sono qui per lavoro (vedasi altro servizio, ndr), nel tempo libero non mancano le opportunità per cogliere il giusto relax. Diciamo che mi sto ambientando bene. Vedremo».

Màrio dal cuore d’oro

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Jardel e Ronaldinho durante un evento legato a Cruzeiro Colorido, reality show brasiliano ideato e promosso dall’imprenditore biellese Mirko Ferrari

Da qualche parte si legge di un Jardel attaccante triste. Niente di più sbagliato, quell’etichetta rappresenta (forse) il periodo più tribolato di un campione dal cuore d’oro. Oggi Màrio è un eterno ragazzone dal sorriso stampato sul volto. Un sorriso che fa il paio con la simpatia straordinaria di un uomo che ha saputo realizzare il rigore più importante della carriera, ossia quello del ritorno alla vita, dopo un percorso minato in una selva oscura di dantesca memoria. Sono in molti ad essersi imbattuti in lui per strada, altri magari gli hanno sorriso o parlato anche solo al bancone del bar, nell’inconscio di sapere chi fosse realmente quell’interlocutore statuario.

La creatività in testa (e nei piedi)

E torniamo agli albori di questo reportage: Biella Città Creativa Unesco. E chi meglio di lui potrebbe essere accostato alla creatività. 500 gol, mai nessuno banale. Ora una carezza, ora una sventola, ma sempre con il pennello tra i piedi e il radar in testa. Potenza e precisione, ai quartieri alti o in quelli bassi cinti da scarpette bullonate. Colpi di genio senza un cliché, tecnica sopraffina e intuizioni, ma anche tunnel, finte e contro finte. Intelligente e sornione, un po’ come quella volta che si portò a spasso l’intera difesa del Milan (Baresi and Company!!!) annichilendo il Cavaliere con una doppietta in cinque minuti. Oppure quando nella Taça de Portogal saltando come birilli i difensori della Juventude de Évora si presentò al cospetto del malcapitato portiere, beffandolo con una rabona rasoterra in diagonale. O ancora il golden gol di rapina che stese il Real Madrid al 103′ regalando al suo Galatasaray la Supercoppa Europea. Insomma la creatività al potere.

Al cospetto di O’Rey!

Jardel fa della creatività la sua imprevedibilità, che fa pure rima involontaria. Ad eccezione dei soliti noti (Pelé, Cristiano Ronaldo e una cerchia ristrettissima), come lui nessuno mai, forse. Alcuni suoi record sono inarrivabili per tutti, anche con buona pace del suo allievo prediletto CR7 e di O’Rey. Pelé sarà inarrivabile nell’olimpo verde-oro, ma l’umile discepolo Màrio non sfigura nel puro confronto numerico nel rapporto tra presenze in gare ufficiali e realizzazioni (0,93 gol a partita il maestro; 0,74 Jardel). Paragone irriverente, ma tant’è, almeno in un paio di spunti isolati dal contesto. Insomma una carriera straordinaria.

La morale della favola

Il lavoro di SuperMario non fu solo correre dietro al pallone, calciarlo, colpirlo di testa (la sua specialità), segnare. Non fu solo far alzare la squadra, obbligando le difese altrui a raddoppiarlo, cercando di fermarlo in tutti i modi, leciti e no, gravandole di cartellini e sanzioni, che fossero rigori o punizioni poco importa.

Il lavoro di SuperMario, calciatore e soprattutto uomo, fu anche gestirsi. Al passato, ma anche al presente. Gestire sè stesso, l’immagine, l’istinto. Le ambizioni. Che ancora sono tante! E pure legittime! E anche, e soprattutto, smaltire le delusioni. Inevitabili, poche o tante che siano. Sembra facile, ma l’argomento è quello aleatorio dei buoni propositi. Tutto facile, ma sulla carta. Come quando fu all’apice del successo.

Già, carta canta. Eccome se canta. Canta e porta la croce. Percuotendosi per espiare le colpe. Il refrain torna a farsi attuale: Brasile (inteso come Seleçao) croce e delizia. Ecco è questo il vero cruccio di Màrio Jardel. Il suo Brasile, appunto croce e delizia. Il rammarico di quello che poteva essere e invece non fu. Si dovette accontentare di 10 presenze in verdeoro e una rete nella goleada (0-7) con la Thailandia in data 23 febbraio 2000. Quando la convocazione per i Mondiali del 2002 (Corea del Sud e Giappone) sembrava dovesse essere una formalità, un infortunio nel momento più importante decapitò certezze e speranze. Due fratture alle spalle, ma anche la retromarcia di Felipe Scolari, che già lo aveva allenato nel Grêmio, vincendo pure la Copa Libertadores nel 1995 (capocannoniere Jardel con 12 reti), misero in ginocchio Màrio, la sua carriera e un pezzo della sua vita. Ora se l’è ripresa tutta e pure con gli interessi. Oggi l’aquilone di SuperMàrio vola alto sul Mucrone, questione di forza interiore e filosofia. Un po’ come la filastrocca del connazionale Toquinho, anche per Jardel 2.0 l’essenza della vita è un Acquarello. Tinte a volte sbiadite, ma pur sempre vere, autentiche, genuine. Proprio come i suoi colpi di testa e le sue pennellate. Due piedi, due scarpe d’oro zecchino. E una testa pensante.

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