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Legambiente, non andrebbe favorita la combustione ma la triturazione e l’interramento

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La Regione Piemonte ha approvato lo scorso 18 febbraio una legge secondo la quale Il divieto di abbruciamento di materiale vegetale, nel periodo compreso tra il 1° novembre e il 31 marzo dell’anno successivo, potrà essere derogato, limitatamente alla combustione dei residui colturali, per un massimo di 30 giorni anche non continuativi per i Comuni montani e per un massimo di 15 giorni anche non continuativi per le aree di pianura.

L’opinione del Presidente di Legambiente

Curioso come gli atteggiamenti della Regione Piemonte siano contrastanti fra loro a seconda del campo di applicazione. Quando parlano di inquinamento atmosferico in città assolvono le auto e incolpano i riscaldamenti, in particolare quelli a biomassa. Ciononostante contemporaneamente liberano le deroghe agli abbruciamenti liberi. Abbiamo l’impressione che il costante appellarsi al semplice buonsenso stia producendo dei cortocircuiti politici”.

Così dichiara il presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta Giorgio Prino, che continua: “Il divieto nasce dalla necessità di contenere il rischio per la salute umana e la deroga in capo ai Comuni lo rende di fatto inutile: è sufficiente che un Comune programmi o distribuisca le giornate di deroga per dar modo di smaltire a fuoco tutto quanto producibile nelle operazioni agricole autunnali e invernali, semplicemente concentrando gli abbruciamenti. Inoltre, posto che gli abbruciamenti sono una fonte significativa, scientificamente accertata, di particolato e Composti Organici Volatili, la deroga è di fatto una valutazione della non pericolosità delle emissioni degli abbruciamenti consentiti. La responsabilità di decidere se tale pratica sia nociva per la salute umana (in termini di inquinanti a tossicità immediata e di accumulo di inquinanti in troposfera) è dunque traslata sui Sindaci (la deroga si applica con ordinanza sindacale) che non hanno una

struttura tecnica di supporto, come ha invece la Regione”.

Il mantenimento della pratica di abbruciamento dei residui, oltre a non valutare gli aspetti sanitari, è incongruente con la realtà sotto il profilo ambientale e agronomico: in un sistema di agricoltura industriale che ha causato in 50-80 anni l’impoverimento e la mineralizzazione dei suoli padani (con la liberazione di quantità significative di carbonio) non andrebbe favorita la combustione ma la triturazione e l’ interramento (previo l’eventuale compostaggio) dei residui.

Alle questioni legate ad inquinamento e a qualità del suolo, si aggiunge quella sulla sicurezza: in un momento storico in cui gli effetti dei cambiamenti climatici si traducono sul nostro territorio con inverni sempre più siccitosi, permettere abbruciamenti liberi significa elevare significativamente il rischio di incendi. Quegli stessi incendi che nell’autunno del 2017 hanno martoriato il territorio piemontese”

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