Attualità
Le targhe strane che portavano la vita in paese
La rubrica di Enrico Neiretti
Le estati iniziavano davvero quando vedevi per le strade automobili targate Torino e Milano. E quando le persiane di quelle case, che rimanevano chiuse per tutti l’anno, finalmente si aprivano. Allora sapevi che le famiglie dei villeggianti erano arrivate.
Che quelle ragazze e quei ragazzi che non vedevi da un anno erano tornati; e da quel momento le vie del paese erano più popolate, si usciva la sera ed era bello fare tardi, anche soltanto seduti su una panchina a chiacchierare; tutto sembrava più intenso e più vivo.
Le auto diverse, sì più grandi di quelle che si vedevano di solito, con quelle targhe con le lettere e non soltanto i numeri, che a leggerle facevano un effetto strano; già perché le nostre auto avevano le targhe di Vercelli, la numerazione era bassa, e bastavano ed avanzavano le sei cifre a definire l’immatricolazione.
Invece le targhe di Torino avevano la lettera al posto della prima cifra, quelle di Milano addirittura la lettera ce l’avevano in fondo, perché avevano già finito il giro in prima posizione. Io guardavo quelle targhe, che graficamente stridevano con le mie abitudini, e mi immaginavo città piene di auto, di palazzi, di gente che andava e veniva.
E poi le voci, gli abiti, quelle parlate strane –le vocali aperte dei torinesi e quell’incedere un po’ cantilenante dei milanesi- che cambiavano per un po’ il sottofondo delle nostre vite e sembrava che raccontassero storie che noi non conoscevamo.
Ecco, era bello quando la monotonia del piccolo paese veniva scossa da questo nuovo movimento; tutto sembrava più luminoso, arrivavi persino a pensare che quei villeggianti avessero scoperto qualcosa di talmente bello che a te era sempre sfuggito.
E forse era davvero così.
Penso a queste cose mentre parlo con Barbara Varese al tavolo della Bürsh, la sua splendida casa, ristorante e albergo a Oretto, una minuscola frazione di Campiglia Cervo.
Già: Casa? Ristorante? Albergo?
A dire il vero è difficilissimo trovare una definizione per La Bürsh: è un luogo talmente atipico ed originale che davvero sfugge ad ogni catalogazione.
Parliamo di luoghi, di ricordi, di idee e di progetti gustando i piatti della bravissima Chef Erika Gotta, in una dimensione -al tempo stesso- rilassata e di intenso dialogo.
Barbara è un concentrato di visioni ed energia. Sì vede già dal suo sguardo, puntato sul presente ma anche proiettato verso un altrove. E’ una genovese trapiantata a Milano, e nel suo modo di essere testimonia sia la schiettezza dei liguri che il pragmatismo dei milanesi.
Mi racconta che il nucleo centrale della Bürsh è stata per tanto tempo la casa di vacanza della sua famiglia; gli oggetti che adornano ogni stanza, gli arredi, persino le stoviglie sono tutti ricordi accumulati negli anni, una sorta di diario di viaggio di chi ha vissuto quella casa, e qui, in questa valle aspra ed affascinante, ha trovato qualcosa di bellissimo e prezioso.
Forse da ragazzina Barbara avrebbe voluto andare altrove, avrebbe preferito altri luoghi ad una piccola valle di una bellezza dura e un po’ selvatica; ma il tempo e la vita sedimentano i legami con i luoghi, con le case, con gli oggetti capaci di raccontare storie.
E così lei ha deciso di ritornare qui: con la sua energia, con le sue idee, con i suoi progetti. Ma soprattutto con una passione grande che puoi vedere espressa nei suoi occhi mentre ti parla di questo luogo magico, mentre te lo fa visitare.
Ecco, ho pensato a quelle estati di tantissimi anni fa: a quelle auto con le targhe strane che oggi non ci sono più, a quelle parlate diverse che oggi sono un po’ meno percettibili, a quegli occhi capaci di trovare una bellezza speciale in quella che per noi è consuetudine.
E ho pensato che quegli sguardi ricchi di ricordi, di immagini di viaggi, di visioni diverse da quelle dettate dalla nostra abitudine, sono sempre -e forse oggi ancora di più- un contributo importantissimo per leggere ed interpretare meglio la bellezza e la forza dei luoghi che abitiamo.
Enrico Neiretti
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