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La politica dei selfie

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Fonzarelli di provincia

BIELLA – In questo tempo assurdo che ci sta capitando di vivere, non è così facile stare qui a scrivere senza inciampare nel déjà écrit. Nella noia profonda della considerazione banale, nella banalità portatrice insana di noia inevitabile. Eppur da dire ci sarà ben qualcosa, nell’osservare anche ciò che non piace. Nel prendersi il tempo del cazzeggio interlocutorio, paradosso del vederci meglio e più chiaro nelle dinamiche a cui stiamo assistendo. Più o meno complici, ça va sans dire, tanto per continuare a dirla alla francese lungo questo lockdown così anglofilo.

Dovendo restare chiusi in casa, i social diventano vetrina privilegiata su ciò che si presuma accada fuori da noi, anche se magari non accade affatto ed è solo faccenda da social, autoreferenziali come sempre. In capo a questa logica mi sono trovato a riflettere sui selfie, sul loro nascere e sopravvivere a stento; sul loro effetto passato e su quello futuro. Alla ricerca di un senso, anche se un senso non ce l’ha. In particolare sull’uso che ne fa chi si guadagna per questo lo stato di sbiellato ad honorem, e non fate finta di non sapere a chi mi riferisco: c’è chi si è costruito la sua fortuna “politica” o almeno così pare credere, vista la reiterazione compulsiva.

Il selfie viene da lontano, dall’avvento dello smartphone associato ai social. All’origine fu tutto un fiorire di ragazzine adolescenti intente a far boccucce in bagno, poi fu campo da gioco dei narcisi professionisti, fino all’ansia populista del politico rampante e anche già rampato. Il rampante si sdoppiava in duplice veste: quella di gabibbo per segnalare le malefatte dell’Amministrazione avversaria e quella di sanfrancesco sorridendo a favor di camera per comunicarci quant’era buono e bravo – bello no, suvvia – nel suo fare. C’è già di che rimpiangere le boccucce a coniglio delle adolescenti; forse persino i narciso-patologici dalla posa improbabile. Per non dire di cani e gatti, che i selfie non se li fanno ma è come se, fermi come sono con lo sguardo rassegnato e annoiato accanto ai loro umani.

Guardando al passato, negli anni a.s. (avanti selfie) la foto opportunity era anche istituzionale: inaugurazioni e occasioni di apparizioni pubbliche di politici locali e amministratori erano documentate per il periodico cittadino. Tutti ritti in posa nell’atto di tagliare un nastro, con l’espressione austera. Negli anni d.s. (dopo selfie), la foto opportunity si trasforma in narrazione, spesso pelosa e opportunista, grazie a angolazioni improbabili dell’inquadratura e a facce sempre meno austere e istituzionali che sorridono fiere al politicamente scorretto. O almeno a quello che loro credono che sia. In tecnica fotografica hanno certo guadagnato, ma il senso del ridicolo l’hanno proprio perso.

Fu Obama a sdoganare i selfie politici quando, dopo che il Moma ci aveva pure dedicato una mostra come fosse arte d’avanguardia, giocò a fotografarsi col primo ministro inglese e quello danese. Da allora, e son passati anni, sindaci e vicesceriffi nostrani, Batman e Robin e altre coppie locali politicamente celebri ne fanno largo e spudorato uso. Ora ne abbiamo uno che si sta specializzando in local-porno-food per sponsorizzare – neanche fosse una curvy da 200mila follower su Instagram – l’asporto in città: quando si dice mangiare coi soldi pubblici.

Mi domando cosa sarebbero questi “politici” senza i selfie. Mi domando cosa resterà di questa bulimica produzione d’immagini e narrazioni farlocche. Io vado in depressione ogni volta che guardo una mia foto degli anni ’80: per fortuna che ce ne sono poche e non sono in circolazione. Aveva ragione Raf a chiedersi cosa resterà di quegli anni ’80. Provassero questi, a chiedersi cosa resterà di loro e dei loro selfie tra un po’. La sensazione che ho è che dopo questa scorpacciata siamo tutti più scafati e insofferenti. Non ce la beviamo più la foto dal cantiere dei lavori pubblici in corso mentre demoliscono il cordolo di una ciclabile come fosse il muro di Berlino. Non restiamo più stupefatti dall’amministratore che fa cose, anzi: pensiamo che non abbia proprio nulla da fare se pensa a documentare in maniera così ossessiva se stesso. Credo che il tempo del selfie, e soprattutto di quello dei politici, sia al tramonto. Ne sono più convinto da quando, sbirciando la pagina dedicata di Wikipedia, ho visto che anche un macaco è capace di farsene uno.

Lele Ghisio

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