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La città che non avrei mai voluto

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Le contraddizioni fanno emergere la verità e per questo, provo a ragionare su tutto ciò che non vorrei dal riconoscimento di Biella a Città “UNESCO”.
Secondo una recente inchiesta di Milena Gabanelli, per l’Italia il riconoscimento UNESCO è molto prestigioso, tanto da collocarci al primo posto nel mondo tra i paesi che investono e che ricevono più certificazioni per opere d’arte, città e patrimoni orali/immateriali, come il canto a tenore sardo, l’opera dei Pupi siciliana e la coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria. Questi sono i più famosi a cui se ne aggiungono altri meno noti, quali l’arte del muretto a secco o le macchine dei santi.
Nel concreto che cosa ci si aspetta dalla certificazione UNESCO? I vantaggi sono difficilmente quantificabili, l’organizzazione non elargisce denaro e al mantenimento del patrimonio con marchio “UNESCO” ci pensa sempre e comunque lo Stato.
Un vantaggio che certamente non si riscontra è l’incremento degli addetti alla cultura, che in Italia sono ancora al di sotto della media europea, nonostante i fondi elargiti per una certificazione che dovrebbe avere il solo scopo di “costruire la pace attraverso la cooperazione internazionale in materia di istruzione, scienza e cultura”.

Dal realismo al pessimismo il passo a volte è breve per cui si chiede alla parte pubblica della città di esercitare il proprio ruolo istituzionale per la difesa del bene della comunità, al fine di metterla al riparo da un processo di lenta erosione da parte di interessi privati.
Il nuovo marchio potrà dare un impulso alle attività culturali della città, sostenendo artisti ancora poco noti? Gli investimenti passati per lo sviluppo del museo del territorio verranno valorizzati? Quale sarà il destino del comparto edilizio ad est della città, dai Lanifici Rivetti alle Pettinature Pagano?
Leggendo i giornali le uniche novità che sinora abbiamo appreso riguardano un nuovo ambizioso progetto, che vede ancora promotori i protagonisti della finanza e dell’economia biellese, impegnati in un piano per la salute, le cui finalità non sono ancora note ai cittadini.
Non sembra filantropia, figlia di un passato ormai lontano, piuttosto pare la conquista di un territorio che è stato abbandonato da una politica che ha abdicato dal suo ruolo: difendere il futuro che ha immaginato per la città.

Esporre il logo UNESCO sui siti istituzionali per restituire un’immagine della città rinnovata e sostenibile, stride maledettamente con la scelta di aver negato la cittadinanza onoraria a Liliana Segre e questa, purtroppo, è la città che non avrei mai voluto.

Vittorio Barazzotto

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