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Il dramma degli ucraini biellesi: «I nostri cari sono lì. Viviamo un incubo che non ci fa chiudere occhio»

Natalia: «Mio padre non vuole scappare, ho paura ma sono fiera di lui». Elena: «Temo per la sorte di mia figlia»

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BIELLA –  La guerra non è così lontana ed è riflessa negli occhi di molti biellesi di origine ucraina che vivono il terrore e l’angoscia dei parenti che hanno lasciato in quei luoghi. Le notizie che incalzano ora dopo ora non lasciano spazio a molte speranze e la lontananza amplifica il dolore.

La storia di Natalia

«Vivo a Biella da cinque anni ed ho molti parenti che vivono in Ucraina, mio padre ha deciso di non fuggire dalla città e addirittura, questa mattina (sabato per chi legge), è andato al lavoro. Sono tanto fiera di lui e del suo coraggio – così inizia il suo racconto Natalia Vryga -. Sono originaria della città di Lviv ( Leopoli), al confine con la Polonia; lì vivono mia madre, mio padre, mio fratello, zii e cugini. Sono fuggiti in campagna, tutti tranne mio padre che non vuole abbassare la testa. Nella giornata di giovedì i bombardamenti hanno coinvolto tutti i punti nevralgici del paese, aeroporti e basi militari. Anche la mia città e finita sotto scacco».

Natalia lavora in ufficio, a Biella, ed il tempo per raccontare è poco. O meglio, lei come suo papà, non cede allo sconforto e non vuole perdere un minuto della sua attività lavorativa. «Non ho chiuso occhio tutta la notte, continuo a guardare in televisione le immagini del conflitto e temo per l’incolumità dei miei cari – continua -. Ho vissuto anche dodici anni a Kiev, dove ho studiato e lavorato, e ora che vedo solo distruzione è come se una parte di me fosse lì, sotterrata tra le macerie. Le persone scappano, cercano luoghi sicuri e dormono nella stazione della metro, i più fortunati hanno un bunker dove rifugiarsi».

E’ difficile guardare da spettatori mentre l’invasione continua. Dalle parole di Natalia non traspare molta speranza su una fine imminente degli attacchi. L’occidente è compatto e difende la democrazia, ma questo non basta ad infondere conforto. «Non credo che Vladimir Putin cederà facilmente alle pressione dei Paesi che lo condannano; prima che iniziasse la guerra, volevo pensare che l’occidente potesse trovare una leva di influenza ma ora la speranza ha lasciato il posto alla paura. Non penso che un dittatore possa fare un passo indietro e lasciare così facilmente la presa, sarebbe come riconoscere la sua inferiorità, mi sembra poco probabile».

Elena: «Non c’è una motivazione per questa guerra. E se ci fosse sarebbe comunque sbagliata»

«Sono disperata, ho mia figlia di trent’anni che vive tra Kiev e Kharkov, non riesce ad uscire dalla città e ha tanta paura, vive da sola con il suo cagnolino ed io non posso aiutarla». A parlare è Elena Stzepil, abita a Biella dal 2013 e ha un negozio da parrucchiera in città.

«Qui con me ci sono un’altra figlia e una nipotina di 12 anni, ho tanta paura e sono anche molto arrabbiata, non solo con la dittatura russa ma anche con il governo ucraino – sono le sue parole -. Noi non sappiamo a quale Paese apparteniamo, si parlano due lingue, sia il russo che l’ucraino e questa era una guerra annunciata».

Elena non riesce a trattenere le lacrime: «Abbiamo un governo schizofrenico, mia figlia ad esempio ha frequentato l’università in lingua russa e sostenuto diversi esami in ucraino, con molte difficoltà. Ho 53 anni e sono via da tanto tempo, ma ad oggi non so da quale paese provengo. Viviamo in un limbo». Ed ancora, continua Elena: «Pensavo di avere visto tutto nella mia vita. Ho avuto la prima figlia giovanissima e poi sono venuta in Italia, ho vissuto un divorzio, la malattia di mia madre, la solitudine e la povertà. E l’altra mattina la mia nipotina Sofia, svegliandomi, mi ha chiesto scioccata che senso avesse fare la guerra. Non ho risposte, non c’è una motivazione e anche se ci fosse sarebbe sbagliata».

Nel frattempo, mentre Elena racconta, un paio di clienti ascoltano e forse aggiungono al proprio bagaglio personale un esperienza che difficilmente potranno dimenticare. «Non posso arrendermi alle ingiustizie – conclude -, non l’ho mai fatto e spero che gli alleati oltre alle parole passino ai fatti. Il nostro popolo, i nostri figli, mia figlia ha bisogno di aiuto».

 

Katia Raco

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