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Il cacciatore uccide perché di fondo non conosce il valore della vita

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La realtà è sempre la miglior palestra di vita per le nuove generazioni. Il narrato, il riportato spesso non rende l’idea di quello che realmente un uomo nel male e nel bene può commettere. Per questo motivo ringrazio di cuore La Nuova Provincia di Biella per aver dato la parola al sig. Filippo Vaglio Tessitore, perché solo leggendo il suo pensiero è possibile rendersi conto del concetto di diritto alla vita che alberga nella mente di uomini che decidono di sentirsi padroni dell’esistenza d’altri.
In questi momenti penso a quel cacciatore che in preda alla voglia di uccidere un cinghiale ha sparato ed ucciso un pover’uomo a Ghemme che con sua moglie cercava castagne. Lo sto immaginando ora che i carabinieri lo cercano per omicidio…chissà cosa prova a sentirsi braccato, chissà cosa prova ad immaginare che quella maledetta pallottola ha ucciso un uomo e rovinato la sua vita.
Avesse ucciso soltanto un cinghiale ora sarebbe tranquillo, ma ha ucciso un uomo e su questa terra ci sono pesi e misure che variano a seconda di quello che noi decidiamo, codifichiamo e indichiamo legislativamente come reato.
Ecco dunque che pensavo a come chiunque commetta un reato debba essere punito, però non posso non pensare che spesso le persone commettono atti impropri spinti dalla disperazione, da raptus, da malattie psichiatriche. Il cacciatore no, uccide in stato di assoluta serenità, senza motivazione alcuna se non quella di pensare che il cielo, il sole, l’aria dolce della montagna e dei prati sia di sua esclusiva proprietà. Il cacciatore uccide perché di fondo non conosce assolutamente il significato ed il valore della vita.
Solo un cacciatore può definire romanzato il racconto di una morte come quella descritta dal sig. Cavallo. La vita nei suoi picchi d’amore e sofferenza è sempre un romanzo, una poesia, una nenia. E’ un concetto difficile credo da capire per chi probabilmente durante la settimana conduce un’esistenza lontana dalla poesia, dalla vita stessa e che la domenica insieme ad amici di sparo sente l’insopprimibile e maschia necessità di sparare a chi nemmeno s’accorge d’avere un fucile puntato addosso.
Perché il camoscio è così preso dall’amare la sua vita, le bellezze donate da Dio che non immagina minimamente che possa esistere tra tante infinita beatitudine alpina un uomo che sente il desiderio di uccidere, di vederlo crollare a terra nel sangue, senza più respiro e vita…non ci riesce il camoscio ad immaginarlo e nemmeno tanti di noi.
Purtroppo la caccia nata per nutrire gli uomini non ha veramente più senso di esistere e l’unico contenimento che dovrebbe essere compiuto è quello delle armi e di chi le imbraccia con tanta facilità.
Non è un caso che tutti gli omicidi commessi con armi da fuoco in momenti di raptus o lucida follia siano nel 90 per cento dei casi commessi con armi da caccia.
Credo che un approfondito esame di coscienza dovrebbe farselo chi ama uccidere, perché non è normale trovare soddisfazione nel togliere la vita giustificando un omicidio di specie con tanta freddezza metodologica.
Caro sig Tessitore non c’è nulla di romanzato nel descrivere la morte. Non dobbiamo aspettare d’esserne colpiti nei nostri affetti per capire quanto la vita sia un principio che non ha nessun vincolo o diritto di deroga.
Alberto Scicolone

La realtà è sempre la miglior palestra di vita per le nuove generazioni. Il narrato, il riportato spesso non rende l’idea di quello che realmente un uomo nel male e nel bene può commettere. Per questo motivo ringrazio di cuore La Nuova Provincia di Biella per aver dato la parola al sig. Filippo Vaglio Tessitore, perché solo leggendo il suo pensiero è possibile rendersi conto del concetto di diritto alla vita che alberga nella mente di uomini che decidono di sentirsi padroni dell’esistenza d’altri.
In questi momenti penso a quel cacciatore che in preda alla voglia di uccidere un cinghiale ha sparato ed ucciso un pover’uomo a Ghemme che con sua moglie cercava castagne. Lo sto immaginando ora che i carabinieri lo cercano per omicidio…chissà cosa prova a sentirsi braccato, chissà cosa prova ad immaginare che quella maledetta pallottola ha ucciso un uomo e rovinato la sua vita.
Avesse ucciso soltanto un cinghiale ora sarebbe tranquillo, ma ha ucciso un uomo e su questa terra ci sono pesi e misure che variano a seconda di quello che noi decidiamo, codifichiamo e indichiamo legislativamente come reato.
Ecco dunque che pensavo a come chiunque commetta un reato debba essere punito, però non posso non pensare che spesso le persone commettono atti impropri spinti dalla disperazione, da raptus, da malattie psichiatriche. Il cacciatore no, uccide in stato di assoluta serenità, senza motivazione alcuna se non quella di pensare che il cielo, il sole, l’aria dolce della montagna e dei prati sia di sua esclusiva proprietà. Il cacciatore uccide perché di fondo non conosce assolutamente il significato ed il valore della vita.
Solo un cacciatore può definire romanzato il racconto di una morte come quella descritta dal sig. Cavallo. La vita nei suoi picchi d’amore e sofferenza è sempre un romanzo, una poesia, una nenia. E’ un concetto difficile credo da capire per chi probabilmente durante la settimana conduce un’esistenza lontana dalla poesia, dalla vita stessa e che la domenica insieme ad amici di sparo sente l’insopprimibile e maschia necessità di sparare a chi nemmeno s’accorge d’avere un fucile puntato addosso.
Perché il camoscio è così preso dall’amare la sua vita, le bellezze donate da Dio che non immagina minimamente che possa esistere tra tante infinita beatitudine alpina un uomo che sente il desiderio di uccidere, di vederlo crollare a terra nel sangue, senza più respiro e vita…non ci riesce il camoscio ad immaginarlo e nemmeno tanti di noi.
Purtroppo la caccia nata per nutrire gli uomini non ha veramente più senso di esistere e l’unico contenimento che dovrebbe essere compiuto è quello delle armi e di chi le imbraccia con tanta facilità.
Non è un caso che tutti gli omicidi commessi con armi da fuoco in momenti di raptus o lucida follia siano nel 90 per cento dei casi commessi con armi da caccia.
Credo che un approfondito esame di coscienza dovrebbe farselo chi ama uccidere, perché non è normale trovare soddisfazione nel togliere la vita giustificando un omicidio di specie con tanta freddezza metodologica.
Caro sig Tessitore non c’è nulla di romanzato nel descrivere la morte. Non dobbiamo aspettare d’esserne colpiti nei nostri affetti per capire quanto la vita sia un principio che non ha nessun vincolo o diritto di deroga.
Alberto Scicolone

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