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I ricordi della piccola bottega di via Parlamento di Cossato

Il giorno del matrimonio ha lavorato fino a un’ora prima dell’inizio della cerimonia, non poteva lasciare la gente senza pane

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COSSATOGiuliana Gelondo, classe 1941, ha gestito, prima con i genitori, il negozio di generi alimentari della borgata Parlamento, dal 1951 al 1973.

«L’attività si trovava sulla via principale, lungo la strada per Quaregna, dove ancora sono visibili le serrande – racconta -. L’avevano avviata i miei, Leo Gelondo ed Elsa Alice, per lasciarla poi a me, nel 1961, anno in cui mi sono sposata.

La storia è andata che dopo aver frequentato la scuola dell’Avviamento commerciale, per un po’ avevo lavorato come contabile, ma mio padre storceva il naso perché non aiutavo più in casa come prima e allora in seguito ho iniziato di nuovo a lavorare con loro».

A quei tempi parlavano tutti piemontese, che Giuliana ha poi insegnato anche a sua figlia, che veniva chiamata “la pìccina”.

«Tanti dei clienti erano persone anziane – prosegue -. Arrivavano anche da Quaregna, paese in cui non c’era ancora nulla. Oltre le case del Parlamento c’era un rivun, una ripa, che era soltanto un sentiero che si addentrava nel bosco. Io andavo anche a fare la consegna della spesa a casa, con la bici. Papà, tra l’altro, era uno dei pochi che già possedeva la macchina e il camion, ed è stato il primo al Parlamento che ha messo il telefono.

Nel 1961 ho sposato Adriano Paschetto, che abitava anche lui nel mio stesso quartiere. Dopo aver fatto per tanti anni il tessitore, è venuto ad aiutarmi in negozio; andava a Biella a fare rifornimento di alimenti al VeGé che c’era in via Torino, e in seguito, avendo noi il forno, si era messo a fare il pane. In negozio tenevamo un po’ di tutto, anche profumi e tabacchi. Le sigarette si vendevano anche sciolte, cinque o sei in una bustina, perché costavano.
Gli acquisti si facevano pure segnandoli sul libretto, uno per noi e una copia identica per il cliente, il quale quando prendeva lo stipendio, veniva a pagare.  Al Parlamento hanno poi costruito tante casette e sono arrivati nuovi clienti.

Era un bel negozio e si lavorava tanto, dalle 7 del mattino alle 22.30, quando passavano le donne che facevano il turno in fabbrica dalle 14 alle 22 e venivano comprare le verdure per fare il minestrone per il giorno dopo.
I clienti venivano tutti i giorni; un po’ meno uomini, che di solito facevano orari opposti a quelli delle donne per poter badare ai figli.
Il giorno in cui mi sono sposata, ho lavorato fino alle 10 del mattino, mica si poteva lasciare la gente senza pane. Mi aspettavano già tutti gli invitati e anche il futuro marito. Dovevo sposarmi alle 11».

Segue la conversazione anche Lilli, cagnona dal pelo lungo bianco, affettuosa e tanto curiosa.
«Ho ceduto il negozio nel 1973 per intraprendere un’altra attività, l’impiegata in un magazzino all’ingrosso di fiori, e in seguito in un negozio di articoli sportivi e poi di abbigliamento.
Da quando sono andata in pensione, mi sono presa cura di quattro bimbi di conoscenti e di mia nipote, che oggi frequenta l’università. Da undici anni faccio del volontariato, adesso soltanto più una volta al mese, nella parrocchia di Gesù Nostra Speranza.
Dal 1992 e per diciannove anni, ho avuto in affido anche una bimba rumena; veniva da me nei periodi delle vacanze ed è poi rimasta in Italia.
Penso me l’abbia insegnato mio padre a essere così. Ricordo che un anno ero rimasta senza cappotto, perché lui l’aveva donato a una persona che ne aveva più bisogno di me».

 

Anna Arietti

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