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Francesco Cagossi, spirito libero un po’ zingaro

È stato pittore stimato e insegnante in diverse scuole, mancato all’età di 77 anni, nel 2015. Oggi a parlarne è il figlio 46enne, Ivan

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COSSATOFrancesco Cagossi è stato un apprezzato pittore e insegnante, mancato all’età di 77 anni, nel 2015. Oggi a parlarne è il figlio Ivan, 46 anni.

«La moglie, nostra mamma Esterina Dutto, ricordo che lo chiamava anche Franco – racconta -. A influenzare la sua personalità è stata la pittura, ma anche l’educazione che gli aveva dato suo papà, nostro nonno Elsino. Lui era fascista, per tanti è stato praticamente un obbligo esserlo, e così papà, figlio unico, è stato protetto e ha ricevuto una formazione rigida, tipica dell’epoca. Un’impronta che secondo me un po’ l’ha rovinato, ma non troppo. Di suo aveva la capacità di comprendere la sostanza delle cose, ciò che contava. Sapeva che esistono altre strade naturali, spontanee e le aveva fatte sue».

«Lo ricordo intorno ai bidoni della spazzatura – prosegue Ivan, sorridendo –, quando vedeva degli oggetti lasciati lì, se c’era qualcosa di suo interesse, si fermava, lo guardava attentamente e a volte lo portava a casa. Non si curava delle auto che gli sfrecciavano accanto, di quello che gli altri potevano pensare. Aveva un carattere zingaro, lui stesso lo diceva. Era bello quel suo aspetto. Era uno spirito libero. Addirittura una volta aveva visto portare un lavandino e lui si era posto fra i due uomini e il bidone, spalancando direttamente lo sportello del baule della sua auto, facendoli ridere. Anch’io ho un po’ la stessa tendenza, ma non la sua indole».

«Papà aveva capacità artistica di sintesi, mirava all’essenza – aggiunge -. Con la stessa filosofia ha cresciuto i figli, senza fare fatica, senza sacrifici. Io ho due fratelli e una sorella. Non dava importanza ai beni materiali. Se spuntava un albero fra i gradini, lo lasciava lì. Guidava una macchina che era un rottamino, ha sempre avuto degli “scassoni”. E questo valeva nel modo di vestirsi e di comportarsi. Era svincolato da costrizioni sociali, dalle maschere che la società ci affibbia, per dirla alla Luigi Pirandello. Aveva una mentalità zingara, ma era sedentario e ciò gli ha permesso di fare molto. All’età di 18 anni, dal 1956, già dipingeva. Ha sempre lavorato a olio, a spatola, a carboncino e con il pennarello. Ha prodotto migliaia di quadri, tutti su richiesta. Il senso della sintesi si vedeva anche lì. Comunicava con poche pennellate, tocchi veloci, che soltanto da lontano definivano l’opera. Me lo ricordo a lavorare in piedi, a indietreggiare rispetto alla tela. Si metteva una mano sull’occhio, come se utilizzasse un monocolo, per capire se stava definendo come voleva. Era un impressionista, corrente che amava. Aveva esperienza.

Negli ultimi anni lo diceva a se stesso e a me. Da giovane aveva fatto il ballerino. Era alto almeno 1 metro e 85, eppure ci era riuscito. Aveva cantato e scritto un libro, “Analisi di un illusione”. Aveva ottenuto una piccola parte a Cinecittà. Gli piaceva andare in bicicletta e per qualche tempo aveva avuto la passione per le auto e le moto d’epoca. Non pensava mai di non riuscire. Se voleva fare una cosa la faceva. Anche nel trovare casa non cercava molto, seguiva un suggerimento. Si era spostato da Buronzo, suo paese natale, a Formigliana, poi a Cossato allo Spinei in una casa di corte e in via Martiri in una palazzina. Nel 2000, seguendo i consigli dei suoi allievi, ci eravamo trasferiti a Valle San Nicolao».

Dagli anni Sessanta in poi, Francesco Cagossi aveva insegnato a scuola, Educazione artistica, Applicazioni tecniche e Storia dell’arte, alle medie “Leonardo da Vinci” e “Lucia Maggia” di Cossato, al liceo Scientifico di Biella e di Cossato per gli ultimi cinque anni.

«Sapeva far divertire i ragazzi, altro aspetto della sintesi – conclude Ivan Cagossi -. Poteva apparire pungente, fastidioso per chi non lo capiva. Papà parlava di tutto senza problemi, con cinica ironia, e forse qualcuno poteva risentirsi. È mancato otto anni fa, il 4 maggio 2015. Poco prima, il 12 aprile, se n’era andata mamma. Era affezionato a lei, le aveva voluto bene. Io mi sento complementare di papà, sono più tecnico, meccanico, analitico. Mi ha lasciato crescere libero di essere me stesso, aspetto che apprezzo soltanto a posteriori».

 

Anna Arietti

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