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«E si chiamò Villani»

Il giornalista Giorgio Pezzana racconta i retroscena della battaglia per intitolare il Sociale all’uomo che lasciò un fondo per un teatro

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e si chiamò villani

«E si chiamò Villani». Tra un paio di anni si celebrerà il 30esimo anniversario del passaggio del Teatro Sociale da struttura privata a pubblica. In virtù della ingente somma – lascito del cavalier Ludovico Cipriano Villani, morto nel 1846 – destinata a dare alla città di Biella la disponibilità di una struttura teatrale pubblica.

«E si chiamò Villani»

Giorgio Pezzana, sappiamo che in questa operazione ebbe un ruolo fondamentale una tua inchiesta giornalistica. Poi narrata nel tuo libro “Da Villa Ottolenghi al teatro Villani”. Come iniziò questo cammino?

Tutto ebbe inizio con una “soffiata” dell’amico Peppo Sacchi. A conoscenza del fatto che nella Cassa di Risparmio di Biella fosse depositato, dalla seconda metà dell’800, il lascito ingente. Che Villani aveva disposto fosse utilizzato per dotare la città di Biella di una struttura teatrale pubblica.

E quindi cosa accadde?

Pubblicai un articolo molto circonstanziato con il quale informai i lettori della disponibilità di questo lascito. Citai le volontà assunte dal testamento di Ludovico Cipriano Villani, del quale ero venuto in possesso, redatto il 20 luglio del 1841 al cospetto del notaio Ignazio Dionisio. Erede universale era stato nominato l’Ospizio di Carità di Biella. Con l’auspicio che il vecchio teatro Villani, all’epoca tra via Italia e via Orfanotrofio (foto) potesse trovare una continuità. Fatto impossibile poiché nel 1881 l’autorità competente ne vietò l’apertura per ragioni di sicurezza. Pochi anni prima però, nel 1865, era stato costruito il teatro Sociale che segnò la decadenza del vecchio Villani, che nel 1889 fu venduto.

Quali furono le reazioni più immediate?

Ricevetti la visita in redazione del presidente del consiglio di amministrazione dell’Ospizio di Carità, Riccardo Masserano, che già conoscevo. Preoccupatissimo per l’articolo, ci tenne a precisare che tutto era sempre avvenuto nel segno della massima trasparenza. Lo tranquillizzai perché l’obiettivo non era certo quello di muovere accuse di cattiva amministrazione a nessuno.

Quando e come avvenne il primo approccio con Palazzo Oropa sulla questione?

Il primo che mi cercò, dopo l’uscita di altri articoli, fu l’assessore Francesco Sapienza. Ma venni a sapere anche di una riunione dell’allora sindaco Luigi Petrini con gli assessori Gian Luca Susta e Rosalìa Aglietta. Con loro alcuni esponenti del comitato per la gestione del lascito Villani presieduto dal professor Carlo Torrione. A quel punto promossi una raccolta firme tra gli operatori del mondo dello spettacolo e della cultura biellesi che trovò un’ampia adesione.

Ma, in sostanza, gli amministratori cittadini come vedevano l’ipotesi di una trasformazione del teatro Sociale in struttura pubblica, all’epoca di proprietà dei palchettisti?

Direi con molta cautela, nonostante la disponibilità di risorse fosse rassicurante. Mi telefonò l’assessore alla cultura Gian Paolo Varnero. Mi disse: “Pezzana, ma lei sa che cosa sta facendo? Lo sa che l’amministrazione comunale di Vercelli per sostenere il teatro Civico deve mettere ogni anno a piè di lista una somma pari a 200 milioni di lire?”. Mi limitai a rispondere: “Se lo può fare l’amministrazione di Vercelli perché non potrebbe farlo quella di Biella?”.

Che evoluzione ebbe questa vicenda che andiamo a sintetizzare, ma che si protrasse per alcuni anni. Con decine di articoli e tra l’altro anche con una “Serata per il teatro Villani” da te organizzata in piazza del Monte. In quella occasione furono raccolte oltre 600 firme in un paio d’ore?

La svolta decisiva si ebbe quando Gian Luca Susta subentrò a Luigi Petrini in qualità di sindaco di Biella. Ricordo l’allora assessore alla Cultura, Vittorio Barazzotto, che una sera a teatro mi disse: “Non andremo certo a mettere a rischio la Giunta per colpa del teatro”. Risposi: “Ma io non ho alcuna intenzione di creare problemi alla Giunta. Io sto dicendo che abbiamo un’occasione unica per dotare Biella di una struttura teatrale pubblica onorando le volontà di un benefattore come Villani. Facciamolo!”. Poco dopo si avviò la procedura di acquisizione del teatro Sociale, sino a quel momento gestito dalla Ciat di Lino Quaglia.

Un’operazione indolore?

Per quel che ne so, non fu facile. Vi furono resistenze da parte di qualche palchettista, ma la risolutezza del sindaco Susta fu decisiva. Acquistò i palchi del teatro promettendo che sarebbero rimaste affisse alle porte di ciascuno le targhe in ottone con i nomi di coloro che ne erano stati possessori.

A quel punto comunque si poteva veramente parlare di teatro Sociale Villani, il vecchio teatro era divenuto il teatro della Città di Biella. Come furono i primi approcci con la nuova gestione di questa struttura?

Si, dal 1° gennaio del 1997 il teatro Sociale divenne teatro Sociale Villani. L’obiettivo era stato raggiunto. Gli approcci successivi? Posso dire che io non godevo di molte simpatie in seno all’assessorato alla Cultura. La “feldmarescialla” a capo di tutta la programmazione culturale del Comune, sarcasticamente, parlando del Sociale Villani, lo chiamava “il teatro del Pezzana”. Nel 2015 in occasione dei 150 anni del teatro, venne organizzata una serata/spettacolo con la regia di Manuela Tamietti. Venni a sapere, solo poche ore prima, che tutta la parte di storia riguardante il passaggio della struttura dal privato al pubblico era stata “censurata”. Solo la prontezza di spirito di Beppe Pellitteri, tra i protagonisti dello spettacolo, consentì di citarmi “per tutto ciò che ha fatto per questo teatro”.

Ma chi era la “feldmarescialla”?

Lei lo sa, io lo so, sono passati un po’ di anni, chiudiamola lì. Posso ancora dire che pochi anni dopo, la Città di Biella diede praticamente le chiavi del teatro a Il Contato del Canavese per la programmazione della stagione teatrale. Ma in realtà quella società divenne poco a poco l’incontrastata usufruttuaria della struttura. Io in quel periodo al Sociale Villani organizzavo il Biella Festival. E mi capitò un giovedì pomeriggio, in vista delle serate del venerdì e del sabato, che i tecnici mi chiedessero di avere accesso al teatro per poggiare dei materiali. Ebbene, chiesi al Contato e mi dissero che per aprire le porte ai tecnici ci volevano 200 euro in più. Faccio notare che quella sera non vi era nessuno spettacolo in programma. In quel momento mi pentii di essermi così tanto impegnato affinché quella struttura diventasse pubblica.
LEGGI ANCHE: Teatro Sociale, sarà ristrutturato lo storico sipario

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1 Commento

1 Commento

  1. Ardmando

    27 Luglio 2025 at 8:48

    Ed ecco perché il privato è SEMPRE migliore del pubblico, checché ne dicano i soliti sostenitori della “sacralità” della “cosa pubblica”.

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