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Da San Paolo a San Biagio: don Gabriele Leone cambia casa

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Finirà venerdì 9 settembre l’avventura di don Gabriele Leone come viceparroco della parrocchia di San Paolo. Ce n’è una nuova ad attenderlo, San Biagio, ci sono nuove persone che hanno bisogno della sua guida e ormai è tempo di salutarsi. Domenica scorsa ha celebrato la sua ultima messa nella sua vecchia casa, e una settimana dopo, l’11 settembre, lo farà in quella nuova. Nel mezzo, la comunità di San Paolo gli ha organizzato una serata dedicata; preghiere, dolci e anche uno spettacolo, e poi una partitona a calcio “Tutti contro Gacio”. Perché lì quasi nessuno lo chiama con il suo nome di battesimo; per tutti è semplicemente Gacio, il prete giovane con la voce alta che tiene a bada il “delirio sanpaolino”, come lo chiama lui, della comunità dei giovani. O forse sarebbe meglio dire che più che tenerlo a bada, vi partecipa.

Finirà venerdì 9 settembre l’avventura di don Gabriele Leone come viceparroco della parrocchia di San Paolo. Ce n’è una nuova ad attenderlo, San Biagio, ci sono nuove persone che hanno bisogno della sua guida e ormai è tempo di salutarsi. Domenica scorsa ha celebrato la sua ultima messa nella sua vecchia casa, e una settimana dopo, l’11 settembre, lo farà in quella nuova. Nel mezzo, la comunità di San Paolo gli ha organizzato una serata dedicata; preghiere, dolci e anche uno spettacolo, e poi una partitona a calcio “Tutti contro Gacio”. Perché lì quasi nessuno lo chiama con il suo nome di battesimo; per tutti è semplicemente Gacio, il prete giovane con la voce alta che tiene a bada il “delirio sanpaolino”, come lo chiama lui, della comunità dei giovani. O forse sarebbe meglio dire che più che tenerlo a bada, vi partecipa.

La sua storia a San Paolo incominciò sette anni fa, nel settembre 2009, quando dopo l’improvvisa morte di don Vitale la parrocchia si ritrovò scombussolata e con una guida dal nome incerto. «In quel periodo – racconta – ero a Roma a studiare, ci sono stato due anni. Si sapeva già a giugno in realtà che sarei arrivato, ma mi sono spostato definitivamente solo dopo perché allora davo anche una mano con i campeggi della parrocchia di Trivero Matrice Botto Bulliana.”

Arrivato a San Paolo ha iniziato immediatamente in qualità di viceparroco, mentre don Filippo era ancora amministratore; si seppe poi solo a novembre che sarebbe stato lui il parroco. Il primo pezzo devi un po’ capire dove sei finito. All’inizio la comunità era ancora un po’ scossa per don Vitale, poi pian piano abbiamo ingranato. Filippo mi diceva “segui i giovani”, ma in realtà facevamo tutto insieme. Era un po’ un casino perché io non ero solo viceparroco ma anche responsabile della pastorale giovanile diocesana e della biblioteca diocesana, quindi avendo altri impegni ci sono state alcune difficoltà».
Ma nonostante queste difficoltà, in sette anni trascorsi a San Paolo, don Gabriele non ha mai fatto mancare la propria mano. Un uomo deciso, a tratti impulsivo, semplice e un po’ grezzo, questo è il bello di Gacio. Una presenza sempre certa.

«Gli ultimi due anni sono stati un po’ così; è dalla festa patronale del 2014 che c’era nell’aria la cosa. Il vescovo mi ha detto “Tieniti pronto che da un momento all’altro potresti andartene”, e quello è stato il momento in cui ho sentito di più l’emozione. Ho avuto un mese di botta emotiva, perché è vero che i preti si spostano sempre e lo sai, ma lì mi sentivo più precario del solito».
Alla fine, quel “da un momento all’altro” è diventato un’attesa di due anni. Ma adesso è veramente tempo di andarsene.

«Che cosa mi mancherà di più di San Paolo? La parte giovanile. Ogni parrocchia ha il proprio fiore all’occhiello, e i gruppi dei ragazzi sono il fiore di questa».
Quando gli si chiede se sia più triste di andarsene o più felice di cambiare casa, fa spallucce e nella maniera più genuina possibile risponde: «Cambia niente. Ho già un po’ vissuto la cosa, a Trivero anche se non ci sono stato tantissimo mi ero molto affezionato; il bello lì è che la gente è molto semplice. Già allora era stato molto difficile, e poi anche a Roma è stato duro perché non ci volevo assolutamente andare. Diciamo che da questo punto di vista sono già maturato. Ora sono tranquillo, poi magari tra due mesi sarò nel panico totale», conclude ridendo.

Gacio parla così, sincero, spontaneo, non fa nessun calcolo su quello che dice. “Alla fine sette anni sono lunghi; senza accorgertene leghi a un certo modo di fare, a un certo stile di vita anche per quanto riguarda la fede, e poi ti trovi a dover riassestare tutto. Spesso mi dicono “Ah, non ti mancheremo”; ma certo che mi mancherete, però come prete sai che ti dovrai spostare. Io poi sono molto legato ad Abramo, all’idea del lasciare la propria casa per andare in un’altra terra.”
In fin dei conti, dice, questo spostamento è anche qualcosa che fa bene. “Sembra smielato, ma io dico sempre che ho il cuore da tante parti, quindi ho il cuore sempre più grande. Questo cambiare mi allarga il cuore.”

Per la nuova storia come parroco a San Biagio, in realtà non ha scritto molti capitoli. “Aspettative? Boh. Io spero di non fare troppi danni, lì sono un po’ come un elefante in una cristalleria. Il primo anno voglio conoscere la gente. Ci si deve sintonizzare sul cammino che hanno fatto, cercare una frequenza, e poi vediamo che musica suona. Quando mi chiedono che progetti ho rispondo che non ne ho idea. Vivere da cristiani, ecco, sicuramente; poi non lo so.
Bisogna tener conto anche che facciamo parte di una diocesi, e di una Chiesa universale, quindi bisogna vedere anche che progetti hanno gli altri. Non si può pensare di andare lì e imporre le cose.”
Certo, qualche piccola idea don Gabriele ce l’ha: ha già parlato con le catechiste e con il CAIP, da ottobre vorrebbe cominciare la benedizione delle case, anche per conoscere meglio la gente, e poi tenere la chiesa sempre aperta. Le prime basi ci sono. Poi, come dice una canzone che suona tante volte durante i campeggi di San Paolo, “la strada si apre, passo dopo passo”.

Alice Scaparra

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