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Da Masserano a Zermatt a piedi

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Otto giorni di cammino immersi nella natura per toccare il cielo con un dito. Masserano-Zermatt, dal Biellese alla Svizzera, 140 chilometri di marcia e 10000 metri di dislivello, percorsi in otto tappe e otto avventure diverse

Otto giorni di cammino immersi nella natura per toccare il cielo con un dito. Masserano-Zermatt, dal Biellese alla Svizzera, 140 chilometri di marcia e 10000 metri di dislivello, percorsi in otto tappe e otto avventure diverse. I protagonisti sono tre amici biellesi che per l’estate 2016 hanno deciso di dire no al mare e di organizzare qualcosa di speciale, qualcosa che riuscisse a mettere l’amicizia che li lega insieme alla passione per la montagna che li accomuna. Omar Ramon, GiovanniTabozzi e Matteo Grazioli: un infermiere di 25 anni, un quasi ingegnere suo coetaneo e un 27enne che lavora in proprio, combinando giardinaggio e viticoltura. Masserano, Ponzone, Masserano. E proprio dalla frazione Bozzone di Masserano i tre sono partiti lo scorso 30 luglio, cominciando la marcia dalla collinetta di fianco a casa di Omar, ribattezzata per l’impresa “Monte Ramon”. Il loro viaggio è passato dall’alpe Artignaga alla Cima di Bo, dall’Alpe Maccagno fino al rifugio Carestia in Val Sesia, direzione Monte Rosa e Capanna Margherita, il rifugio che con i suoi 4554 metri è il più alto d’Europa. E da lì giù in picchiata fino in Svizzera, nella giornata che ricordano come la più bella, quella in cui con le ali ai piedi hanno volato in mezzo ai crepacci del ghiacciaio del Rosa con il monte Cervino limpido sullo sfondo.
«Erano sei mesi ormai che l’idea ci girava per la testa, da qualche tempo stavamo cercando un itinerario. All’inizio pensavamo al classico Mombarone-Monte Barone per goderci le nostre montagne. Un giorno è venuto fuori come battuta “Ma sì, andiamo a Zermatt!”. E a Zermatt ci siamo finiti veramente, siamo andati a piedi in Svizzera partendo da Masserano».

Sminuiscono con modestia la loro impresa i tre avventurosi: «Sono tutte camminate relativamente semplici, un giro così un alpinista esperto non lo considera nemmeno un vero trekking». Sarà, ma per otto giorni hanno camminato tra le 8 e le 9 ore al giorno a passo spedito, 15 kg a testa sulle spalle tra viveri e attrezzatura, sveglia alle 5, più spesso alle 3 del mattino, e marcia fino alle 2 del pomeriggio, quando arrivavano al rifugio o al bivacco del giorno per riposarsi e rifocillarsi. «Abbiamo organizzato anche i rifornimenti: la prima tappa all’Artignaga era una camminata solo a metà, arrivati su abbiamo fatto una grigliata con tutti gli amici. Al terzo giorno sono arrivati i papà a portarci calze, mutande e magliette pulite. E cibo. Al terzo rifornimento, il sesto giorno, ci hanno pensato gli amici, che ci hanno rifornito con corde e imbragature per salire sul ghiacciaio. Prima sarebbero state un peso inutile». L’attrezzatura per il ghiacciaio ma anche l’acqua, ricordano dopo un momento. «In rifugio costa carissima, abbiamo faticato un po’ in salita ma abbiamo risparmiato qualche euro fino all’ultima tappa». “Un po’” di fatica significano 12 litri per tre paia di spalle nell’ultima tirata dai 3600 metri della Capanna Gnifetti ai 4552 della Capanna Margherita. E per “cibo” niente barrette, integratori e multivitaminici.
«Ma che: pane, salame, tonno, marmellata, taralli, tanta frutta e verdura e anche il grappino. Abbiamo mangiato come dei lupi, camminare tutti i giorni fa venire un appetito bestiale, ma eravamo ben organizzati – ridono – Forse anche troppo». Pane e salame e il bagno come mamma li ha fatti nei torrenti e nei laghetti che incontravano sulla strada, la prima notte a dormire sulla paglia sopra la sala di mungitura, la quarta a rimandare il riposo per aiutare il padrone del rifugio a recuperare il suo cane Spako, caduto nel vuoto e soccorso con un’improvvisata barella di lenzuoli. «Abbiamo incontrato un pastore che a Sagliano ha un gregge di 1400 pecore, al rifugio sull’Alpe Maccagno abbiamo aiutato i pastori a fare il formaggio».
Storie intrecciate con altre storie, tesoro più grande di questa avventura lunga una settimana. Graziati dalle condizioni meteorologi che, i tre ragazzi hanno rispettato alla perfezione la tabella di marcia. «Abbiamo rischiato di non farcela proprio all’ultimo, quando nella salita alla Capanna Margherita ci siamo trovati in mezzo a una mezza tormenta: -11 gradi, raffiche di vento e neve ai 50 km/h, le tracce sono scomparse dopo più o meno trenta secondi di salita. Siamo riusciti a salire accodandoci a una compagnia guidata da due guide svizzere». Il momento peggiore dell’avventura però non è stato nemmeno quello. «Mentre salivamo al Carestia abbiamo perso il sentiero e siamo finiti sull’alta via Tullio Vidoni. Strada bruttissima, rischiavamo di finire di sotto ad ogni passo. L’unico momento in cui abbiamo avuto veramente paura».

Fanno parte della nuova generazione che viaggia low cost e parte per vivere il percorso i tre amici biellesi. Nuovi scrittori di viaggio, condiviso via Facebook con aggiornamenti costanti sulla pagina “Masserano – Zermatt”. «Abbiamo speso tra provviste e soste in rifugio meno di 300 euro a testa. E’ un turismo/avventura diverso da quello tradizionale. E di spendere patrimoni per andare a camminare sulle Ande non abbiamo la disponibilità. Per ora». E intanto già pensano al percorso per l’anno prossimo. La pizza finale? Era in programma a Zermatt, ma gli Svizzeri chiedevano  troppo.
Gaia Quaglio

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