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Ciao maestro, amico e compagno, che la terra ti sia lieve

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Visionario, vulcanico, poliedrico, istrionico, pungente, ironico. Potremmo trovare ancora tanti aggettivi per raccontare Giuliano Ramella; io preferisco definirlo, semplicemente, un maestro. Di scrittura, di coerenza, di rigore. Quando due anni fa cominciai la collaborazione con questo giornale la sua “paga del sabato” mi diede subito il benvenuto e, per una volta, Giuliano dismise le armi della critica preferendo la carezza, ironica, del padre.

 

Roberto Pietrobon ricorda Giuliano Ramella

 

Visionario, vulcanico, poliedrico, istrionico, pungente, ironico. Potremmo trovare ancora tanti aggettivi per raccontare Giuliano Ramella; io preferisco definirlo, semplicemente, un maestro. Di scrittura, di coerenza, di rigore. Quando due anni fa cominciai la collaborazione con questo giornale la sua “paga del sabato” mi diede subito il benvenuto e, per una volta, Giuliano dismise le armi della critica preferendo la carezza, ironica, del padre.

I miei primi ricordi di lui risalgono agli anni gloriosi del craxismo quando mia madre, militante socialista, mi portava alle riunioni del PSI e lì vedevo un soggetto fuori contesto, un intellettuale che poco centrava con quei dirigenti rampanti, tutti doppiopetto e brillantina.
Mia madre che amava dipingere le persone che incontravamo diceva di lui: “quello è Giuliano Ramella, il giornalista, una testa finissima!”.
Quando il garofano si appassì e fui io a intraprendere la militanza politica mi capitava spesso di portare a mano i comunicati stampa dei giovani di Rifondazione alle varie redazioni dei giornali. Un giorno entrai nella vecchia sede di Radio Biella in Via Tripoli e, sull’uscio, incontrai proprio lui, “il giornalista”. Mi accolse con un grande sorriso e disse: “sei il figlio di Adriana (mia madre)? Ti seguo sai, bravo! Per fortuna che si sono ancora giovani con ideali che si impegnano! Continua così e salutami la mamma.”
Negli anni successivi le frequentazioni divennero più assidue, anche solo telefoniche, e complice l’amicizia con Martino e Cecilia, il nostro legame si fece più forte fino a quel giorno in cui ci abbracciamo, a Pollone, davanti alla Chiesa nell’ultimo saluto alla Ceci.

Giuliano era il dito nell’occhio del potere locale, amava spercularlo con ironia e sagacia, con una penna che – qui nel biellese – non ha nessuno. Poneva questioni importanti e aveva un’ossessione: rendere popolare la cultura che, per lui, voleva dire non banalizzarla o impoverirla ma renderla fruibile al maggior numero di persone possibili. Un giorno mi disse che scrivere la verità senza guardare in faccia a nessuno provoca un vuoto intorno a sé, ci si sente soli come se si indossasse una lettera scarlatta sul petto.

Caro Giuliano in questi giorni i “potenti” si stanno prodigando a tesser lodi di te e, sono certo, che li perdonerai per non averti riservato uguale trattamento quando eri in vita. Questa nostra città, la tua “Ortalìa”, però non è solo le loro lacrime da coccodrillo ma quelle, sincere, di tante persone comuni che ti hanno seguito in tutti questi anni e che sanno quanto bene hai fatto al nostro territorio.

Ciao maestro, amico, compagno, che la terra ti sia lieve. Non ti dimenticheremo.

 

Roberto Pietrobon

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