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Bloccato in aeroporto per 24 ore, l’incubo di un biellese

La disavventura di Patrizio Martiner in Tanzania

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«Sono così arrabbiato, in decenni di viaggi in giro per il mondo non mi era mai capitata una cosa simile. Bloccato in aeroporto in Tanzania senza motivo e con la mia compagna che deve essere operata, mi sembra un incubo».

E’ amareggiato e incredulo Patrizio Martiner, 56 anni, biellese di origine ma cittadino dei cinque continenti da più di trent’anni, quando racconta la disavventura di cui, suo malgrado, è stato protagonista. Raggiunto al telefono nella giornata di domenica, ancora bloccato nell’aeroporto di Pemba, è un fiume in piena quando ripercorre le sue ultime ventiquattro ore che possiamo tranquillamente definire da incubo.

Signor Martiner, perché è rimasto bloccato in Tanzania?

Sinceramente non l’ho ancora capito. Prima di continuare a raccontare cosa mi è successo ci terrei, però, a fare una precisazione giusto per chiarire che non sono un “turista fai da te”. Io viaggio da sempre. Dopo il diploma all’istituto alberghiero, la cucina stata la mia passione, sono partito per Londra e da lì posso dire di non essermi mai fermato. Per circa 10 anni ho fatto il cuoco a bordo di navi da crociera girando il mondo: Messico, Caraibi, Australia, Canada, Alaska. Poi ho tentato di fermarmi per non prendere la “malattia del ferro”, lavorando un po’ in hotel, mense, ma il mare mi richiamava e sono tornato a lavorare per Costa, MsC ed in fine Seabourn. In tutto questo sono anche riuscito a trovare il vero amore, Flavia, e qui torniamo al motivo per cui sono così infuriato.

In che senso?

Lei è brasiliana ed è proprio in quel paese che ero diretto. Dopo anni passati sulle navi da crociera, che voleva dire 6 mesi a bordo e 2 in casa, ho deciso di prendere la via delle piattaforme petrolifere dove si lavora “meno”, ovvero 2 mesi continuativi e uno di stop proprio per riuscire a stare più vicino a lei. Nei periodi in cui sono fermo ci alterniamo tra Biella e Natal la città della mia compagna: una volta da me, una volta da lei.

Ma lei dove lavora adesso?

Su una piattaforma dell’Eni in Mozambico ed è proprio da quel paese che stavo arrivando; Pemba era solo uno scalo, da qui, infatti, dovevo proseguire per l’aeroporto di Dar es Salaam, sempre in Tanzania, poi per Doha e, infine, per il Brasile dove sarei dovuto arrivare domenica sera: giusto in tempo per assistere Flavia che lunedì doveva essere operata. E’ quello il motivo per cui dovevo e volevo essere in Brasile. Volevo stare vicino alla mia compagna, assisterla e invece sono stato bloccato per un motivo che sinceramente non ho ancora capito. Sono furioso. Mi hanno lasciato in aeroporto praticamente 24 ore, senza assistenza, senza spiegazioni, erano tutti troppo impegnati a guardare una partita di calcio per spiegarmi cosa stesse succedendo.

Con che motivazione non l’hanno fatta salire sull’aereo?

Ai controlli per l’imbarco l’assistente di terra mi ha chiesto se fossi in possesso di un certificato di matrimonio, diversamente non poteva farmi salire: non potevo andare in Brasile senza quel documento. Una vera assurdità, io sono domiciliato in quel paese, noi italiani possiamo tranquillamente andarci, il visto si può comprare direttamente all’arrivo in aeroporto. Ho provato a spiegarmi, a contattare la compagnia aerea per risolvere la questione ma non ho ricevuto alcuna assistenza. Hanno scaricato i miei bagagli dal velivolo e sono partiti senza di me.

A quel punto cosa ha fatto?

A parte dormire in aeroporto sperando che la situazione si risolvesse, alla fine ho comprato un nuovo biglietto aereo e chiesto di spostare l’operazione di Flavia così da poter essere vicino a lei in un momento così delicato. Ripeto non mi era mai successa una cosa simile in più di trent’anni di viaggi. Quello che mi ha ferito maggiormente, al di là del disagio e dei soldi buttati, è stata la totale indifferenza del personale dell’aeroporto troppo concentrato a guardare una partita per darmi retta.

Maria Francesca Piemontese

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