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Abele Quaregna, l’ingegnere biellese che ci avvicina alla luna

«Stiamo costruendo una “casa” per far vivere l’umanità in orbita attorno a Luna. Perché? Per conoscere, evolvere e imparare»

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Abele Quaregna

«E’ parecchio strano, l’universo. Ti insegna che nemmeno il tempo è una cosa certa».

Esordisce così, Abele Quaregna, classe 1972, nato a Biella e residente a Pollone, ingegnere di Thales Alenia Space (Torino). Uomo di rilievo del progetto “Lunar Gateway”, la prima stazione spaziale che sarà lanciata nell’orbita del nostro satellite con due scopi primari. Il primo: essere il punto d’appoggio per ogni futuro allunaggio e per una vera e propria base lunare. Il secondo: imparare ad andare su Marte.
Proprio così. Avete letto bene. È biellese, uno dei tecnici del nostro comune cammino verso le stelle. Ha sposato Cinzia e con lei cresce due figli, Samuele che ha 15 anni e Sebastiano che sta per compierne 12.

Abele Quaregna, un biellese tra le menti che lavorano alla prima stazione che sarà lanciata nell’orbita del nostro satellite

Abele Quaregna, a destra, insieme a Luca Parmitano

Lì, sul Gateway, mangeranno, dormiranno, lavoreranno, faranno quasi la doccia, programmeranno le attività. Immersi nel vuoto di un’orbita ellittica “alta” intorno a Luna. Una parte di questo l’ha progettato, assieme ad altri colleghi, Abele Quaregna.

Cominciamo dal banalissimo. Lei lavora ogni giorno su sistemi complessi che mirano a far vivere l’uomo nello spazio e, al contempo, all’uomo permetteranno di imparare qualcosa in più su sé stesso e sul resto. Progetta aggeggi al limite del vero. Trova soluzioni inedite per problemi altrettanto inediti. Rende tecnicamente possibile ciò che prima pareva non esserlo. Collabora con scienziati e astronauti al vertice del settore. Candidarsi a consigliere comunale a Pollone (nella lista Un Paese Ci Vuole) è solo passione o anche una catartica forma di masochismo?
«Sono anche Presidente della Biblioteca Civica del paese. Un piccolo gioiello, grazie soprattutto all’impegno dei volontari. Mi appassiona. Avere un ruolo pubblico in un piccolo centro di collina non è solo un modo di provare a mettersi al servizio della comunità. È anche, più egoisticamente, una strada per conoscere “i tuoi”, la gente del paese. Lavoro tanto: vado via presto al mattino, torno tardi la sera. Non voglio che il mio paese sia solo una sorta di bellissimo dormitorio, per me. Voglio viverlo. E magari posso anche fare qualcosa di utile. Aspettiamo 400 alpini per l’Adunata nazionale e siamo nell’anno della santificazione di Pier Giorgio Frassati, evento che porterà a Pollone gente da tutto il mondo, persino da Stati Uniti e Canada. Serve sfruttare un’occasione simile, senza sottostimare le difficoltà logistiche. Magari, un ingegnere aerospaziale può servire (sorride, mentre lo dice; ndr)».

Ok. Se lei sta studiando il modo di far vivere quattro persone, per mesi, in pochi metri quadri, nel vuoto orbitale attorno a Luna, ce la può fare anche con gli alpini e i fedeli di Frassati in quel di Pollone. Mi ha convinto. A proposito: crede in Dio?
«Sì. Sono anche praticante. L’universo è grande. Tanto grande. Dentro ci troviamo molte conferme delle nostre teorie, ma la sua vastità lascia sempre spazio a ulteriori, inevase domande. Non credo che scienza e fede siano inconciliabili, anzi. Credo si complementino, credo siano il fondamento della nostra stessa natura. La necessità di farci sempre nuove domande ce l’abbiamo nelle ossa, nel DNA. C’è spazio per tutto, nel cielo lassù».

Prima di scivolare inevitabilmente sul tecnico, ancora un paio di cose personali. Quando ha capito che le stelle erano il suo mondo?
«Non subito. Ho frequentato ingegneria aeronautica al Politecnico di Torino. All’epoca, i corsi specifici per l’aerospaziale erano pochissimi, in Italia. Ero affascinato dai velivoli da guerra. Ci feci la tesi e ci lavorai diversi mesi appena dopo la laurea. Progettare aerei sperimentali da combattimento era la “Formula Uno” del mio lavoro. Non potevi chiedere nulla di più avanzato e sfidante. Avevo però un problema etico. Non volevo costruire armi, per quanto fosse tecnicamente meraviglioso. Ne parlai con il professore con il quale discussi la tesi. Si stupì, ma capì. Fu lui a dirmi che cercavano giovani ingegneri ad “Alenia Spazio”. Abbandonai i progetti futuristici di caccia da guerra e cominciai a lavorare sull’ingegneria delle stelle».

La sua famiglia. Sono affascinati dal suo mestiere o, specie i ragazzi, la considerano un noioso, attempato nerd che parla sempre delle stesse cose? A tutto, ci si abitua.
«Credo di aver avuto fortuna. Il figlio maggiore si è iscritto a un liceo tecnologico. Quello minore insiste per diventare un pilota delle Frecce Tricolore. Qualsiasi strada sceglieranno poi di seguire, almeno credo di non averli annoiati a morte».

Cominciamo a scivolare nel tecnico, ma con relativa prudenza. Riesce a spiegare, ai comuni mortali come me, che cosa state facendo?
«Facile. Stiamo costruendo una “casa” per far vivere l’umanità in orbita attorno a Luna».

E perché?
«Per imparare. Per conoscere. Per evolvere».

Aiuti me e la signora Maria a capire meglio, per cortesia. Porti pazienza.

Alcune foto del team e del progetto del “Lunar Gateway” © Thales Alenia Space

«Uno degli obbiettivi della “casa orbitale” è quello di servire da punto di appoggio. Se vogliamo cominciare a vivere su Luna, è più facile avere un “punto intermedio” che serva come snodo. Detta altrimenti: lanciare sonde sul suolo lunare o inviare equipaggi da Terra, è tuttora difficile. Diventa un pochino più semplice con una stazione intermedia che “spezzi” il viaggio e che possa essere un centro di supporto logistico. Non solo: la permanenza di astronauti in orbita attorno a Luna può anche permetterci di capire tante cose che dobbiamo per forza imparare prima di affrontare viaggi nello spazio profondo come quelli verso Marte. La reazione del corpo umano a lunghi periodi in assenza di gravità, esposizione alle radiazioni, isolamento sociale e via discorrendo. Senza contare pericoli di altro genere, come i “micrometeoriti”. Parte del mio lavoro riguarda l’integrazione nel progetto di adeguati “scudi” per evitare che microscopici oggetti buchino la fusoliera della stazione. Per semplificare: Lunar Gateway sarà una porta privilegiata di accesso al nostro satellite e, al contempo, una formidabile stazione per la ricerca scientifica necessaria ad andare oltre».

Quali sono le maggiori difficoltà che ha incontrato nel suo lavoro?
«Più che difficoltà, le definirei sfide. Di certo, lo spazio ridotto da gestire al meglio. Lunar Gateway deve essere lanciato e ci sono, a oggi, limiti fisici legati ai “vettori” (i missili; ndr.). Più una cosa è grossa, più pesa, più è difficile, talvolta impossibile, farla arrivare nell’orbita lunare o, meglio, farla “scappare” dalla gravità di Terra. E poi, il fatto che non ci sono molti idraulici disponibili, lassù».

Prego? Idraulici?

Alcune foto del team e del progetto del “Lunar Gateway” © Thales Alenia Space

«Se si rompe un tubo, per dire, non puoi chiamare al telefono il tuo professionista di fiducia, magari la domenica mattina. Tutto va progettato in modo che sia in qualche modo riparabile dagli astronauti o dalle equipe di terra se si tratta di software o di qualcosa sulla quale si possa intervenire da remoto. Le persone che vanno lassù sono tecnicamente preparate per affrontare emergenze, ma questo aspetto va già considerato in fase di progettazione: tutto ciò che non è riparabile in orbita, è un rischio in più».

Lei ha lavorato e sta lavorando con astronauti di grande esperienza. Tra gli altri, prima la Cristoforetti, ora Parmitano. Mi pare che il Colonnello abbia dato un contributo proprio sul problema degli “spazi”, vero?
«Luca Parmitano è intervenuto su più aspetti, proprio grazie a ciò che ha imparato nelle sue missioni. Sul fattore umano: vivere per mesi in pochi metri cubi, nel bel mezzo del più ostile degli ambienti conosciuti, non è uno scherzo e lui lo sa bene. Sembra una roba da poco, persino sciocca in assenza di gravità, ma non lo è: anche gli astronauti hanno bisogno, magari, di “sedersi” (agganciandosi a opportuni ritegni) a cenare assieme o a condividere la giornata, pianificare le attività a venire. Parmitano ha poi dato un contributo fondamentale anche nella progettazione di tutti quei componenti legati alle EVA (Attività Extra Veicolari, quelle dove gli astronauti escono indossando la tuta; ndr.) sempre grazie alla sua esperienza di “passeggiate nello spazio”. Scegliere il punto giusto dove piazzare una maniglia di appiglio sullo scafo esterno della stazione, può fare la differenza tra vivere oppure no».

Nel vortice delle sue giornate che non è difficile immaginare impegnative, trova mai un minuto per fermarsi, respirare e rendersi conto che quelli come lei stanno contribuendo a scrivere la storia?

Alcune foto del team e del progetto del “Lunar Gateway” © Thales Alenia Space

«Il quotidiano è decisamente meno romantico di quanto si possa pensare dall’esterno. Ci sono logiche aziendali, economiche, umane. Poi, però, arrivano momenti cruciali nei quali ci si rende perfettamente conto che tante persone, in tutto il mondo, remano nella stessa direzione, sognano lo stesso sogno. Ci si sente parte di qualcosa di bello, di grande. D’un tratto, il resto sembra secondario, trascurabile».

Un’ultima domanda che non vorrei mai farle, ma che devo farle per forza e purtroppo. Anche sul sito web di questo giornale, così come ovunque sul resto del pianeta, fioriscono i commenti di quelli che dicono che Terra è piatta, che non siamo mai stati nello spazio, che è tutto un enorme complotto. Che ne pensa?
«Un motivo in più per andare intorno o su Luna: da lì si gode una splendida vista di Terra in tutta la sua rotondità».
Già. E intanto lavora, il pollonese che mentre si impegna anche su alpini, Frassati e biblioteca del paese, costruisce roba che merita un’unica, lapidaria definizione: Abele Quaregna costruisce “futuro da toccare”.

Edoardo Tagliani

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