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A Cossato la piccola bottega del calzolaio Vittorio Toniolo
Ha imparato il mestiere quando aveva 17 anni
A Cossato la piccola bottega del calzolaio Vittorio Toniolo.
A Cossato la piccola bottega del calzolaio Vittorio Toniolo
Sotto i portici dello storico condominio “Piemonte” c’è la bottega di un’attività non più così popolare, ma sempre necessaria, del calzolaio, lo sciavatin di un tempo. Avvolto in un grembiulone, incontriamo Vittorio Toniolo, classe 1961, che si dice pensionato affezionato al suo lavoro.
«All’età di 17 anni ho iniziato a frequentare il negozio, perché mio padre aveva portato un paio di scarpe a risuolare – racconta -. Il proprietario precedente, Aniceto Gazzoli, aveva aperto nel 1971. Al ritorno dalla bottega mio padre disse che era tempo per me di prendere una decisione in termini di lavoro e mi parlò di mestieri che a me non interessavano. Mi disse anche che il Gazzoli cercava un ragazzino a cui insegnare la sua professione. L’idea mi sembrava buona e così a 17 anni, come ho detto, ho iniziato a fare pratica. Ero in regola da un anno, quando Gazzoli fu costretto a lasciami a casa, perché non riusciva a mantenermi fra spese e tasse. Mi aveva però proposto, se fossi stato interessato, di andare da lui di sera per apprendere. Era interessante, ma non potevo vivere, perché non mi pagava, così avevo trovato impiego in una tessitura, in cui ho lavorato per 5 anni. Finivo in reparto e andavo in negozio dalle 18 alle 20, tutti i giorni, compreso il sabato mattina, per imparare. L’ho fatto per 5 anni. Nel dicembre del 1985, Gazzoli andò in pensione e io dal 4 gennaio 1986 sono subentrato e ho proseguito fino a oggi».
È diventata una passione, non soltanto un mestiere.
«È vero, perché ormai mi muovo a occhi chiusi. Mi piace anche perché ho un buon rapporto con la clientela. Dopo 42 anni e 10 mesi di contributi, sono andato in pensione. Grazie a un po’ di salute e al lavoro che non manca, ho scelto di proseguire, trasformandolo in un hobby. Questa è la mia storia».
C’è qualche aneddoto curioso?
«In quarant’anni ne ho viste di cotte e di crude. Ce ne sarebbero da raccontare. Ricordo una signora che un giorno venne a ritirare un paio di scarpe. Le chiesi il nome per rintracciarle, ma stranamente non le trovai. La donna era certa di avermele portate. Io cercai ancora le scarpe, certo di non averle smarrite, perché sono pignolo. Ricordo che le dissi: “Qui, le scarpe, se non hanno i piedi, non escono”. Per esperienza so che a volte si è convinti di averle portate, ma in realtà sono rimaste a casa. La donna se ne andò sbattendo la porta. Giorni più tardi tornò, con le orecchie basse, e mi chiese scusa. Le scarpe erano nel baule della sua automobile. È accaduto anche di non riuscire a rintracciare una cliente, perché al telefono non rispondeva. Sono rimasto fiducioso che qualcuno si sarebbe fatto vivo e infatti in seguito mi ha cercato la figlia. Il numero di telefono che mi era stato dato non era corretto».
Nel laboratorio, ricavato in un piccolo spazio, c’è l’attrezzatura.
«Sono quasi tutti macchinari acquistati da me nel tempo, anche perché una volta di lavoro ce n’era il doppio e la macchina da cucire “Singer” di Gazzoli era proprio vecchia come il cucco. Ho preso il banco finissaggio, la pressa, la fissa tacchi con chiodo e le frese. La manualità rimane comunque prioritaria».
Ci sono ragazzi interessati a imparare il mestiere?
«È accaduto che un padre avesse chiesto per il proprio figlio, ma io tempo per insegnare non ne ho e poi la cosa che mi aveva disturbato è che si era preoccupato subito di sapere quando avrei pagato. Io per imparare, ho lavorato 5 anni senza prendere una lira, però ho imparato un mestiere e ringrazio il signor Aniceto Gazzoli, che con pazienza mi era stato appresso. Il lavoro c’è, il pane si guadagna, serve però aver voglia di lavorare bene, con professionalità».
Anna Arietti
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