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Anche Biella piange la morte di Lomu

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Il mondo del rugby è in lutto. E’ scomparso nelle prime ore di mercoledì mattina – a Auckland, in Nuova Zelanda – Jonah Lomu. La leggenda della palla ovale era malata da tempo, sindrome nefrosica. Causa ufficiale del decesso, a soli 40 anni: un banale infarto.

Il mondo del rugby è in lutto. E’ scomparso nelle prime ore di mercoledì mattina – a Auckland, in Nuova Zelanda – Jonah Lomu. La leggenda della palla ovale era malata da tempo, sindrome nefrosica. Causa ufficiale del decesso, a soli 40 anni: un banale infarto.

Il numero undici degli All Blacks è stata la prima vera star internazionale del rugby, ispirazione per generazioni di giovani che, impressionati dalle sue performance sul campo, hanno cercato di emulare l’incredibile atleta che era.

Fuori dal campo, Lomu era tutt’altro che una star, umile e disponibile con tutti, non ha mai rifiutato un’intervista o deluso i tifosi, grandi e piccini, che riconoscendolo, gli chiedevano foto e autografi. Rammenta uno di questi momenti Cesare Maia, consigliere del Biella Rugby, che lo incontrò per tre volte in occasione dei terzi tempi della nazionale italiana: saluti, strette di mano e grandi sorrisi erano per tutti. Non deluse neppure un giovanissimo Filippo Musso, quando nel 2004 lo vide a Roma, allo stadio Flaminio. Lomu era già ammalato, ma non negò un saluto e l’autografo sul biglietto della partita al suo giovane fan.

Callum McLean, dal canto suo, ne conserva il ricordo più vivo: “Nel ’93 lo incontrai come avversario, ad un torneo scolastico di rugby a sette – racconta il coach gialloverde -. Era impressionante, gigantesco e velocissimo. Il suo nome era quello che tutti pronunciavano quando si parlava di “uomo da battere”, ma nessuno riusciva a fermarlo. L’anno dopo, a soli 18 anni, indossava già la maglia degli All Black. L’ho rivisto a Roma, tra il pubblico del Flaminio, ma non chiesi autografi, noi neozelandesi siamo persone riservate”.

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