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Quando il rave fa parlare più della Belen
Quando ero ragazzina e mangiavo quanto un pulcino, mio papà mi ripeteva ad ogni pasto: “O mangi o ti porto a fare le punture”. Punture di furbizia, probabilmente. Poi, rivolgendosi a mia mamma, sospirava: “Fulvia, lascia che faccia quello che vuole”. E così fu anche per i due in tedesco, così per i System Of A Down tutta la notte nelle orecchie, così per la kefiah al collo, quando neppure ne comprendevo il significato.
Quando ero ragazzina e mangiavo quanto un pulcino, mio papà mi ripeteva ad ogni pasto: “O mangi o ti porto a fare le punture”. Punture di furbizia, probabilmente. Poi, rivolgendosi a mia mamma, sospirava: “Fulvia, lascia che faccia quello che vuole”. E così fu anche per i due in tedesco, così per i System Of A Down tutta la notte nelle orecchie, così per la kefiah al collo, quando neppure ne comprendevo il significato.
“Lascia che faccia quello che vuole” è stato quel mantra di spiccia rassegnazione, che ha caratterizzato la mia guerriglia adolescenziale. E, per quanto abbia potuto prendere autonomamente le dovute craniate, se i cosiddetti rave party fossero stati moda durante la mia ribellione ormonale, certamente non avrei potuto rimettere a casa nemmeno un’unghia del piede. Io. Conscia di ciò, ci limitavamo a brufolosi pigiama party scanditi da popcorn al caramello, e i rasta rimanevano così, per me, per noi, utopiche “cose arrotolate in testa che puzzano”.
“Lascia che facciano quello che vogliono” è ciò che mi sento ora di dire all’amico bacchettone, all’anziana moralista, al biellese bigotto, alla mia mamma che non capisce queste feste e, in fondo, anche a me stessa. Per autoconvincersi che, alla fine, oggi emarginati lo siamo tutti, indipendentemente dallo s-ballo sotto una cassa o la Santa Messa della domenica. Certo è che il sentimento suscitato in me dai ragazzi post rave senza una meta, quando da un finestrino d’auto li osservavo curiosamente vagare sulla Trossi, è stato di profonda tristezza. Molto empaticamente, ero triste per loro. Vi dirò, devo ancora realizzarne il perché, se mai uno ce ne fosse. Biella è davvero pronta a districarsi dal purgatorio dei giudizi? Tra sacro e profano, giusto o sbagliato, temo di no.
Slvia Serralunga
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