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Città creativa contro graffitari

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Intenti a sopravvivere a tutto questo rutilante nulla in cui pare essere immerso il panorama politico locale, impegnato a sfidarsi a colpi di post e figuracce che fan persino tenerezza, non fosse che in qualche modo coinvolgono tutti noi e ci dipingono come una città di sbiellati, cerchiamo di vedere cosa accade oltre il trend topic.

“Quindicenne writer imbratta i muri del parcheggio Boglietti, denunciato”. È un titolo di cronaca locale apparso in questi giorni di cui mi piacerebbe, pur nella sua brevità, tentare una semplice analisi semantica.

Quindicenne: poco più che un ragazzetto, un pischello insomma. Writer: graffitista, attore di una manifestazione sociale e culturale di creatività che interviene sul tessuto urbano. Imbratta: verbo d’accezione dispregiativa che descrive l’insudiciare fino a sporcarne la dignità. Muri del parcheggio: è piuttosto evidente, ma è bene specificarlo che si tratta di un immobile pubblico e di nessun valore storico o paesaggistico. Denunciato: con tutto quel che ne consegue nei termini di azione legale, compreso qualche futuro imbarazzo sociale perché si sa che son cose che ci si porta appresso.

Il ragionamento che vorrei fare non è certo sul merito della “notizia”, che non è poi così interessante disquisire se l’opera del writer in erba sia più ascrivibile all’arte o all’atto vandalico: è che, nelle intenzioni, non nasce certo come atto vandalico.

Ora, in una città che non è certo mai stata ridente ma decorosa sì, non stupisce che il decoro sia un irrinunciabile attributo per il quale le forze dell’ordine devono vegliare incessantemente. Ma questa città ha anche perseguito con tenacia la corsa per il marchio di “creativa”, che qualcosa vorrà pur dire anche nella tutela di chi cerca, maldestramente, di perseguirla a sua volta, quella creatività di cui tanto si parla e spesso si blatera. C’è che forse è il caso di provare, chissà, per il futuro, a cambiare attitudine nei confronti dei luoghi e dei modi della produzione di qualcosa di creativo. Che può anche essere il lavoro clandestino di un writer.

Tra Banksy e quel pischello, l’unica differenza non può e non deve essere il valore economico dell’opera: concettualmente sono comunque, in qualche modo e non del tutto, assimilabili. Una città più colorata e raccontata dai graffitari potrebbe non dispiacere, anzi. E non stiamo certo parlando di riempire di scarabocchi il Battistero. Stiamo parlando del fatto che invece delle denunce e dell’indignazione sono opportuni dei ragionamenti su come convogliare queste pulsioni artistiche che hanno nel loro Dna tracce d’illegalità, tanto da essere disciplinate, e molto, dal regolamento di polizia urbana messo in cantiere dall’attuale amministrazione.

A dire il vero, già il precedente regolamento, risalente al 1938, in un comma dell’articolo 69 prevedeva il divieto di “recare danno o sfregio e comunque insudiciare, anche con iscrizioni e disegni edifici pubblici e privati”. Ma l’articolo 38 dell’approvando regolamento titola espressamente “Scritte e graffiti”, riconoscendo implicitamente un eventuale “valore creativo” all’atto. A questo punto perché, in luogo dell’enfasi repressiva, non aprire un cantiere creativo presso la Fondazione Pistoletto a cui affidare gli autori – generalmente pischelli – di questo vituperato crimine? Potrebbero così, prima o poi, rendere più ridente colorata e, finalmente, creativa questa città certificata Unesco.

 

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