BiellaOpinioni
Cittadinanza, tricolori, simboli e senso d’appartenenza
La risposta di Giorgio Pezzana alle riflessioni di Fulvia Zago su identità, cittadinanza e sentimento nazionale

Le riflessioni di Giorgio Pezzana, in risposta all’intervento della consigliera comunale del Pd Fulvia Zago.
Gentile Signora Zago, intanto la ringrazio per avere voluto trovare il tempo da dedicare alla lettura della mia rubrica. E poi, la ringrazio anche per i toni pacati ed il garbo del suo argomentare, per altro ricco di spunti di riflessione. Io mi limiterò ad alcune considerazioni poiché non voglio tediare né lei né i lettori.
Ha ragione quando dice, a proposito delle bandiere tricolori, che non sono necessariamente sinonimo di attaccamento ai valori del nostro Paese, così come chi reca un crocifisso al collo, non sempre è autentico portatore dei valori cristiani. Però, una bandiera tricolore esposta su di un balcone o un crocifisso al collo scelto anziché un qualunque altro simbolo, rappresentano comunque un senso di appartenenza, talvolta quasi inconscia, che riguarda il nostro modo di essere italiani e cristiani. Spesso non ci pensiamo, ma se qualcuno ci imponesse di rinunciare a quei simboli ci sentiremmo privati di un qualcosa che fa parte della nostra quotidianità, da secoli. Ecco perché mi riesce difficile accettare il riconoscimento della cittadinanza italiana con relativa facilità per chi non viene da quella nostra cultura e da quelle nostre tradizioni. E trascurare la nostra cultura e le nostre tradizioni, significa in qualche modo tradire il nostro passato che deve invece essere protetto e tutelato poiché lì affondano le nostre radici. Indro Montanelli era solito dire che senza passato non ci può essere futuro.
Ogni Paese ha un proprio passato, una propria storia, una propria cultura e, in ambito europeo, se è vero, come lei dice, che le identità nazionali e quelle europee possono arricchirsi a vicenda, è altrettanto vero, come dimostrano i fatti di ogni giorno, che in ogni Paese europeo il sentimento nazionale continua a prevalere su quello europeo ed anzi, da qualche tempo e non solo in Italia, l’Europa viene vista come un sistema vessatorio fondato assai più sulle ragioni economiche che non sui valori di ogni singolo Stato. E vengo al referendum sulla cittadinanza, visto che soprattutto su quello lei ha posto le sue attenzioni, confermandomi, come molti sostengono, che gli altri quattro referendum sono in realtà un pretesto per arrivare al quinto (il filosofo Fusaro ha addirittura parlato di un “cavallo di Troia” per arrivare all’unico quesito che davvero interessa il mondo di sinistra). E qui, giustificando chi parla di un’abbreviazione dei tempi per approdare alla cittadinanza italiana, lei mi cita tra le ragioni “la ricerca di stabilità, il pieno riconoscimento dei propri diritti e doveri, il desiderio di partecipare attivamente alla vita civile e, semplicemente, un senso di appartenenza che si è consolidato nel tempo…”.
Indubbiamente si tratta di presupposti interessanti, ma lei ha considerato il fatto che, nel momento in cui si abbreviassero i tempi per ottenere la cittadinanza, scatterebbe la corsa ai ricongiungimenti familiari? Tradotto in numeri ciò significa che oltre a due milioni e mezzo di “nuovi” italiani, ci troveremmo al cospetto di almeno alltrettanti nuovi arrivi per effetto dei ricongiungimenti, cioè un’onda d’urto per il nostro Paese che si riverserebbe in modo drastico sui servizi, da quelli sanitari a quelli scolastici e via via sino alle pensioni. Non credo che l’Italia oggi sia in grado di far fronte ad un simile carico di nuovi oneri che finirebbero per gravare su tutto il Paese, già oggi afflitto dalla precarietà di tanti servizi pubblici. Accoglienza ed inclusione sono principi importanti, ma sempre a patto che vi siano le condizioni in grado di reggere le nuove istanze.
Mia madre è stata migrante in Svizzera per cinque anni come rammendatrice, ma quando lasciò l’Italia aveva un contratto di lavoro e la garanzia di un’adeguata, seppure modesta, soluzione abitativa. Confindustria, che ogni giorno sbandiera la necessità di poter disporre di lavoratori migranti, in termini numerici, quanti contratti è in grado di mettere sul tavolo? E quante soluzioni abitative è in grado di assicurare? Ecco, quando le imprese saranno in grado di tradurre in numeri le loro offerte di lavoro e lo Stato avrà trovato le “coperture” necessarie per garantire la continuità dei pubblici servizi per italiani e “nuovi” italiani, allora si potrà parlare di tempi più brevi per ottenere la cittadinanza. Per ora, la risposta al quinto quesito referendario, non può che essere un “no”. Grazie per avermi seguito sin qui.
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Giovanni
6 Giugno 2025 at 21:33
Parole chiare, termini detti in modo semplice, chi ha capito il nesso non andrà a votare, dopo è solo piangere sul”latte versato”.
Ardmando
7 Giugno 2025 at 8:35
E’ proprio quello il senso del discorso: la cittadinanza non si regala. Dieci anni sono anche pochi e la sinistra vorrebbe regalarla. Ma si sa, loro sono amici del peggio della società nonchè dei trafficanti di esseri umani (vestiti da ONG) che contribuiscono alla colonizzazione islamica dell’0Europa. Ricordatevi sempre delle parole della compianta Oriana Fallaci.
Non andate a votare, per trasmettere un segnale forte e chiaro a questa disperata accozzaglia di sinistra, senza idee per l’Italia ma solamente CONTRO l’Italia. Un po’ come certi vecchi illetterati che non sanno nemmeno scrivere in italiano e passano le giornate a insultare il prossimo dal basso della loro lurida esistenza.
.Bruno
7 Giugno 2025 at 7:30
parole e parole quante pensioni anche hai cosiddetti cristiani vengono pagare con le tasse e i contributi dei lavoratori stranieri tante ,visto che la maggior parte degli italiani evade,quindi è giusto nel rispetto delle leggi dare a loro la cittadinanza ,votiamo si anche per riconoscenza a loro, si