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Eventi & Cultura

La wunderkammer di Omar Ronda

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E’ nel biellese la wunderkammer di Omar Ronda, un artista ormai conosciuto nel mondo ma che ha radici e cuore nella sua terra. Ha costruito negli anni un’opera difficilmente immaginabile e raccontabile, dai ricordi della sua infanzia alle performances sulla cima del Monte Bianco fino alle alchimie genetiche e molecolari rappresentate dalle sue opere in plastica.

E’ nel biellese la wunderkammer di Omar Ronda, un artista ormai conosciuto nel mondo ma che ha radici e cuore nella sua terra. Ha costruito negli anni un’opera difficilmente immaginabile e raccontabile, dai ricordi della sua infanzia alle performances sulla cima del Monte Bianco fino alle alchimie genetiche e molecolari rappresentate dalle sue opere in plastica.

Siamo andati a intervistarlo nel suo studio bunker dove ci fa entrare in un’opera che da spettatori ci trasforma in protagonisti.. la wunderkammer!

Maestro cosa significa wunderkammer?

E’ la prima forma museale della storia umana, letteralmente significa “CAMERA DELLE MERAVIGLIE” sin dal medioevo collezionisti, scienziati e nobili crearono luoghi dove raccogliere infiniti generi di rarità naturalistiche e artistiche.  Ho deciso di adottare questo nome per uno spazio che potesse contenere parte della mia vita artistica e non solo.

Perché ha scelto un edificio industriale, neutro e anonimo?

La nostra terra è costellata di fabbriche dismesse, immensi tesori abbandonati che hanno dato vita, ricchezza e speranze al nostro territorio. Questi luoghi carichi di storia sono sterili e funzionali, ma nel loro interno ci sono il sudore, le lacrime e il lavoro dei nostri avi. Volevo recuperare tutto questo, ridare dignità ad uno spazio che rischiava di morire.  Non voglio che all’esterno trapeli nulla di quanto è contenuto tra le mura di questo spazio, non un’insegna, nessuna pubblicità, nessun chiasso, solo io, la mia ricerca e poche persone speciali che seguono il mio lavoro e lo capiscono.

Qual è lo scopo di un lavoro così importante e impegnativo?

Dopo un vita di lavoro volevo ordinare in maniera analitica ogni tappa del mio percorso, opere realizzate in periodo giovanile, installazioni, frammenti della memoria, testimonianze dei vari periodi, le appartenenze a gruppi e movimenti, un’antologia che descrive con luci, suoni, colori e narrazioni un universo trasversale che riassume quasi mezzo secolo di esperienze.

Visitando la sua Wunderkammer si ha la sensazione di entrare nell’opera e non di essere un semplice spettatore!

Questo è l’effetto che volevo creare, la mia intenzione è proprio quella opposta ad una esposizione museale sterile e impersonale, voglio coinvolgere lo spettatore con tutti i suoi sensi, la vista, l’udito, il tatto e l’olfatto !  Ho scritto la storia della mia esistenza attraverso centinaia di frasi di un colore blu cobalto, frasi che coprono tutto il pavimento per oltre 400 metri quadrati. Ho fatto questo lavoro in pieno inverno, senza riscaldamento, perché volevo soffrire il freddo e sentire la fatica di stare piegato per ore al gelo. Lo spazio è dipinto di nero opaco per dare il senso dell’infinito, le opere sono legate una all’altra in un continuum senza interruzioni, un racconto ainalitico e ininterrotto. Le luci mettono in evidenza ogni dettaglio e ogni particolare.  Ho creato un percorso che amo raccontare personalmente, non voglio essere mediato da nessuno, perché nessuno meglio di me potrebbe  interpretare il significato di certe opere.

Lo spettatore al centro dell’opera dunque.

Esatto, chi entra in questa spazio varca la soglia delle percezioni reali ed entra con me in una dimensione volutamente metafisica, lo spettatore è parte dell’opera, dentro all’opera, ne diviene parte, protagonista ed interprete. Ho creato un racconto logico e sequenziale che ripercorre parte della mia storia di uomo e di artista. Ecco perché questo spazio non sarà mai aperto al pubblico ma soltanto a poche persone speciali, la visita è possibile solo in mia compagnia perché io stesso sono parte vivente di tutto il progetto.

Ci può raccontare le varie fasi che le hanno ispirato questa enorme opera?

Nei decenni che ho trascorso a lavorare e a creare opere che poi sono andate in centinaia di gallerie e musei nel mondo, nelle case di collezionisti ed estimatori, nelle collezioni pubbliche e private ho sempre pensato al giorno che avrei potuto fermarmi per raccoglierle in un grande spazio. Ho sempre conservato gelosamente parte dei miei lavori, i più importanti e significativi, ho sempre rifiutato di venderli per potere un giorno raccoglierli nella wunderkammer! Questi untimi anni di crisi hanno rallentato molto il mercato in Italia ed ecco che è arrivata l’occasione che cercavo. La crisi, con le fabbriche vuote e dismesse è diventata un’opportunità. 

Il suo racconto viene da molto lontano e inizia addirittura nel 1955 quasi sessant’anni or sono.

Si, alla morte di mio padre, nella sua casa di Portula, mia madre trovò ben conservati in un armadio il primo quadro che avevo dipinto in vita mia e un quaderno di seconda elementare dove mi divertivo a disegnare animali mescolati tra loro, le kimere. Il mio racconto parte quindi dall’infanzia e dalla innata passione per la genetica, la contaminazione molecolare e l’evoluzione della specie. Ho sempre amato l’opera e l’ironia di Giuseppe Arcimboldo che ritengo essere il primo esempio di ingegneria genetica applicata all’arte… lui è stato il mio ispiratore e maestro ! L’artista deve essere interprete e protagonista del suo tempo, deve usare tutto quello che offre la tecnologia per esprimere sentimenti profondi quali la poesia, il dolore e la gioia.  Credo che l’arte per me sia più importante della mia stessa vita.

Le sue opere sono quasi tutte di plastica, che nesso ci può essere tra la genetica e un materiale sintetico e artificiale come questo?

E’ vero, i miei materiali per eccellenza sono da sempre le materie plastiche, queste non sono altro che derivati sintetici di un altro elemento di origine vivente; il petrolio, il greggio che esce dalla madre terra che è la sintesi organica di tutto il vissuto del pianeta. In questo magma sono contenute le molecole degli organismi vegetali, animali e umani vissuti sul pianeta prima di noi! Manipolare la plastica sapendo che prima dei processi di scissione delle molecole era organica mi dà molte idee e stimoli. Io utilizzo oggetti di plastica che simulano o evocano la natura in modo tale da restituire al petrolio la sua immagine primaria e antropologica. E’ come prendere una valigia di pelle e ricostruire la mucca, un’alchimia genetica che solo attraverso operazioni demiurgiche e artistiche è possibile attuare!

Oggi ci sono critici, storici e studiosi dell’arte che stanno collocando culturalmente gli artisti che dagli anni cinquanta hanno usato le materie plastiche?

Si, negli ultimi anni si è delineata una vera e propria linea che parte da Burri, Turcato, Castellani, Accardi, Dadamaino ed altri importanti artisti del secondo novecento.  A metà luglio a Pietrasanta in Versiglia ci sarà una mostra che si intitola PLASTICA ITALIANA dove ci saranno esposte alcune mie opere con un gruppo ideale di artisti che sono i protagonisti in questo settore!  I cicli storici si misurano in decenni e scavalcano le mode passeggere e commerciali. E’ difficile perseguire un obiettivo per anni senza cedere a facili compromessi ma se ci si riesce allora è una cos bellissima.

Cosa ci vuole dire in conclusione di questa intervista?

Non sono uno che dà consigli ne tantomeno ho in tasca formule che possano risolvere i problemi dell’umanità come al contrario predica qualcuno. Mi piacerebbe poter pensare che chi governa questa nostro paese si ricordasse che siamo grandi anche grazie ai meravigliosi artisti del passato che ci danno nobiltà e prestigio in tutto il mondo. Vorrei che i valori venissero cercati, scoperti e protetti, si smetta di gettare i soldi dei contribuenti per l’arte e la cultura assistita, quella cultura di regime che non ha mai portato a niente di buono. La mia wunderkammer è li a testimoniare che si può far davvero molto con poco…ma con molta passione e lavoro!