Cuore di città
Dove vanno a posarsi i sogni: il giardino pubblico di Biella e la ricerca di una piazza
La prima puntata di Cuore di Città, la rubrica di Gianfranco Ribaldone dedicata alla storia dei Giardini Zumaglini
Nel 1856 la costruzione della prima stazione ferroviaria Biella-Santhià, dove oggi sorge “Agorà Palace” su via Lamarmora, creò un vuoto enorme tra la stazione e l’antico limite meridionale della città, segnato da via dei Fossi (oggi via Mazzini). I cittadini osarono chiamarla piazza, anzi “nuova piazza d’armi”, per distinguerla dalla vicina “antica piazza d’armi”, spazio pubblico tra viale di Porta Torino (oggi viale Matteotti) e l’attuale via Bertodano, privo di edifici (tranne l’oratorio di San Rocco). Nuova piazza? Finora non veggiamo che un prato intersecato da un largo sentiero per cui si accede alla ferrovia scrisse “L’Eco del Mucrone” il 20 maggio 1858.
Non basta un grande spazio libero per fare una vera piazza.
Il 18 maggio 1859, alle ore 5 del mattino, Garibaldi per via ferrata arrivò alla stazione di Biella, con l’ordine di Vittorio Emanuele II di puntare verso il lago Maggiore, contro la destra dell’esercito austriaco. Proveniva da San Germano Vercellese, preceduto il giorno prima da 3500 Cacciatori delle Alpi, anche loro per treno, poiché la campagna era inondata. Uscito dalla stazione, attraversò la nuova piazza, costeggiò i grandi giardini vescovili (oggi via Losana) ed entrò nel palazzo dell’amico vescovo Losana. Tre giorni meravigliosi, ma la nuova piazza d’armi, anche se aveva ospitato il grande cuore di Garibaldi e dei suoi Cacciatori alla partenza della seconda guerra d’indipendenza, rimaneva piazza solo di nome.
Non basta un grande evento per fare una vera piazza.
Forse occorreva che giorni di festa e di mercato tingessero di umanità il luogo. Nel 1866 fu così inventata la fiera di bestiame, detta di San Marco, da tenersi proprio lì, il penultimo martedì di aprile di ogni anno. Una desolazione. Scriveva la “Gazzetta Biellese” il 24 aprile 1873: La fiera di S. Marco tiene il suo centro principale nella nuova piazza d’armi, colà dove secondo un certo progetto di buona memoria dovrebbe esservi un giardino all’inglese ornato di piante ombrose, di leggiadri ed olezzanti fiori. Invece che cosa avete trovato martedì scorso? Ohimè quale spettacolo! Dall’un capo all’altro della vasta area non si vedono che fitte schiere d’animali bovini, suini e pecorini che mandano all’olfatto tutti altri profumi che quelli di rosa e di vaniglia. Dall’altra parte, nell’antica piazza d’armi, non vi figurano che pochi banchi pieni di vario genere di mercanzie.
Non basta un grande mercato per fare una vera piazza.
Nell’autunno 1875 il Consiglio comunale deliberò finalmente di piantumare la metà occidentale dell’area davanti alla ferrovia, quella in asse con l’ingresso della stazione. Nasceva il giardino pubblico (dal 1935 intitolato al botanico Maurizio Zumaglini), realizzato da Innocente Ottolini di Novara da marzo a maggio 1876, sotto la direzione di Alfonso Danese, ingegnere del Civico Ufficio Tecnico. Non amato, un corpo estraneo, vandalizzato fin dall’inizio, squallida area suburbana, ricettacolo di degrado. Scriveva “Il Corriere Biellese” il 10 gennaio 1880: Ci regalarono un giardino pubblico ove nelle ore di riposo, per ora, prendono il sole e più tardi prenderanno l’ombra gli operai della fabbrica Squindo e quei miserabili e schifosi esseri che sorgono da quell’antro che sta in capo al giardino, mettendo in mostra il loro abbruttimento e degradazione.
Non basta un giardino pubblico per fare una vera piazza.
Il Consiglio cercò di fare una piazza nella metà orientale, in memoria dell’antica e fangosa piazza d’armi (a sud dell’attuale viale Matteotti), che era stata venduta in lotti per finanziare l’impianto del giardino e la costruzione del parapetto. Cinta da alberi e destinata ad attività ludiche, la metà orientale del giardino pubblico (ove oggi c’è il monumento dell’alpino e del mulo) era fiancheggiata dalla strada provinciale che saliva fino alla via Maestra (dal 1880 via Umberto, oggi via Italia). A volte era chiamata “sferisterio”, a volte “piazza d’armi” in ricordo dell’antica. Tra gare di tamburello e palla elastica, tra esibizioni di pagliacci e donne cannone, tra carnevalesche corse nel sacco e corse degli asini, inizialmente fu sentita come contenitore di eventi nati sotto il segno dell’improvvisazione.
Non basta uno spazio cinto da alberi e da una corona di gente per fare una vera piazza.
Intanto, tra il 1875 e il 1880, era stata costruita casa Bertola con portici (oggi portici di piazza Vittorio Veneto). Il proprietario Eusebio Bertola, spedizioniere, magazziniere e amante del teatro, ebbe un’idea luminosa: nell’ampio cortile interno al palazzo costruì una grande tettoia, un palco e una comoda platea. Nasceva così, nell’anno 1886, Teatro Bertola (o Politeama Bertola o Teatro di Porta Torino o Politeama di Porta Torino). Ospitava piccole compagnie vernacolari, che trovavano esoso il Teatro Sociale. Poi il repertorio si ampliò, ma sempre sul filo del popolare: la gente accorreva per piangere e per ridere. Non importava se spifferi entrassero dalle finestre senza vetri o se, a volte, il concerto esterno delle raganelle si sovrapponesse alla voce degli attori. Era il teatro popolare; un sole che irradiava attorno, portando luce e sentimento, umanizzando il luogo. Dove oggi c’è il monumento del Fons Vitae, la banda cittadina veniva a suonare, mentre i gestori delle birrerie sotto i portici organizzavano piccoli concerti fuori e dentro i locali.
Dallo sbocco di via Umberto, per tutta la lunghezza del porticato fino a via Lamarmora, era dunque nato “piazzale di Porta Torino”. Di fronte alla verzura del pubblico giardino, alla vista di uno splendido lembo di cielo, che riceve maggior risalto dalla forma frastagliata e imponente dei nostri monti, elegantemente riparata dalle arie troppo forti, ventilata per la felice disposizione del porticato, illuminata senza economia, rallegrata da sceltissima musica (“L’Eco dell’Industria”, 29 giugno 1890) fioriva a Biella la prima Belle époque.
L’apertura di un nuovo teatro popolare concorrente, in piazza della Funicolare (Politeama Piemontese, poi Biellese), pose fine all’esperimento durato un decennio (1886-1896), quando il giardino pubblico, così poco amato, era stato illuminato e protetto dal cono di luce e di umanità del Politeama Bertola.
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