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Cronaca

Benvenuti nell’inferno degli ex Lanifici Rivetti

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Benvenuti all’inferno. Se ci fosse un cartello, all’ingresso degli ex lanifici Rivetti, reciterebbe più o meno così.

Benvenuti all’inferno. Se ci fosse un cartello, all’ingresso degli ex lanifici Rivetti, reciterebbe più o meno così. Bottiglie, rifiuti, vecchi materassi, vetri rotti, muri crollati, vegetazione che giorno dopo giorno si riprende lo spazio rubatole a suo tempo dalla città della lana, degrado assoluto. Così si presentano lo stabilimento, abbandonato da anni, e il suo cortile interno. E’ l’altra faccia della medaglia. Da una parte, la sede di Biver Banca, un simbolo del capitalismo, torreggia su via Carso; dall’altra, a poche decine di metri di distanza, coperto alla vista delle migliaia di automobilisti che ci passano accanto quotidianamente, c’è l’altro mondo, quello di chi non ce l’ha fatta ed è rimasto indietro. I perduti. Gli ultimi tra gli ultimi della nostra società. Questa sorta di discarica a cielo aperto apparentemente è anche “abitata”. C’è chi ci trova un riparo, chi probabilmente ci dorme anche. Esseri umani che hanno fatto di una fabbrica pericolante la propria dimora.
A un certo punto sbuca uno di loro, un uomo sulla quarantina, lineamenti e carnagione tipicamente nordafricani. Non sembra felice di avere visite. Da un varco nel muro semicrollato, al primo piano dell’edificio, cala una fune e inizia a scendere. Provare a fargli notare che stare lì è rischioso, che la struttura è vecchia e fatiscente e che la possibilità di cedimenti non sembra essere così remota, non serve a nulla. “I muri non sono pericolosi, le persone furbe sono pericolose”, risponde, confermando di non avere alcuna voglia di accogliere ospiti. Poi, zaino in spalla, si allontana e sparisce nella vegetazione di questo pezzo dimenticato di “parco fluviale”. Come lui ce ne sono altri. Pochi giorni fa vigili del fuoco e carabinieri hanno trovato tre uomini e una donna intenti a cucinare con “fornelli” di fortuna. “Inquilini” abusivi. Gli ex Rivetti sono infatti una delle tappe fisse di diversi “senza dimora” che vivono in città. Alcuni a volte dormono lì, altri al Bottalino, altri ancora altrove. In tempi di crisi, i “castelli” abbandonati, in quello che fu il regno del tessile, non mancano. Ogni tanto c’è chi propone di “sfrattarli”, un’idea difficile da concretizzare (nonostante lucchetti, recinzioni e grate, è facile trovare un modo per entrare in una fabbrica semidiroccata), oltre che non risolutiva. Una volta cacciate, queste persone non avrebbero di nuovo un posto dove andare. E ne cercherebbero uno nuovo. D’altronde per loro la scelta non è difficile. Tra un luogo pericoloso e uno freddo opteranno sempre per il primo. Meglio un tetto e quattro muri, anche quando temi che possano cascarti sulla testa. Benvenuti all’inferno.

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