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«Vedo mamma attraverso un vetro», il dramma degli anziani nelle RSA

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BIELLA – «Da un mese posso vedere mia mamma solo per 30 minuti, il tempo concesso dalla “normativa anti-Covid19”, ogni dieci giorni circa. Durante i nostri incontri, obbligatoriamente, sempre per le norme di sicurezza, qualcuno del personale deve assicurarsi che nessun oggetto, regalo o mazzo di fiori che sia (la mia mamma adora i fiori) le venga dato direttamente e soprattutto non le si stringa la mano per confortarla o si cerchi di abbracciarla. O ancora peggio, baciarla. Una situazione drammatica, per molti aspetti disumana».
Usa un tono pacato ma sofferente Daniela Stasia, 56 anni, residente a Pollone, nel raccontare la sua storia, simile a tante altre in questi duri tempi di “Covid-19”.
«Questa non vuole assolutamente essere una polemica con il personale o con i responsabili delle strutture che ospitano persone anziane e malate, anzi. Apprezzo e comprendo il loro lavoro, lo sforzo che quotidianamente compiono queste persone per far sentire meno abbandonati i nostri cari e meno divorati dai sensi di colpa noi, per il dispiacere di non aver potuto risparmiare loro tale incomprensibile sofferenza. Capiamo la difficoltà a coniugare i diritti umani con i rischi penali per eventuali inosservanze delle norme di prevenzione e di sicurezza previsti per la pandemia». «Purtroppo però le regole sono troppo rigide, spesso assurde e disumane – aggiunge la donna, titolare insieme alla sorella di un’azienda meccano tessile -. Non lasciano spazio alla tutela degli affetti e alle necessità di chi sopravvive grazie e solo per quelli. Comprendiamo le necessità di sicurezza e tutela dei nostri cari, categoria più esposta e a rischio, ma così siamo al limite del sopportabile. Ho mandato lettere a politici, medici e dirigenti dell’ospedale. L’ho fatto perché volevo capire. Chiedere aiuto. Non voglio alcun trattamento particolare ma chiedo che vengano presi in considerazione i diritti degli anziani, dei loro affetti. Questa situazione sta angosciando me e la mia famiglia: l’impossibilità di condividere dei momenti normali con mia madre, che ha 86 anni e da poco più di un mese è ricoverata in una struttura del Biellese, ci sta facendo tanto male. Alle difficoltà contingenti si aggiungono anche questi protocolli severissimi nel disciplinare gli incontri tra gli ospiti e i parenti. Non dico che si tratta di una tortura psicologica, ma poco ci manca. Fatico a spiegare a mia mamma il perché di certe obbligatorie distanze quando la vado a trovare. Una situazione straziante. Grazie alla disponibilità del personale, ultimamente, per cercare di vedere più spesso nostra madre, io e mia sorella ci mettiamo d’accordo per presentarci ai cancelli e salutarla mentre lei si trova dietro i vetri di una finestra. Una piccola gioia, ma anche un ulteriore fonte di amarezza».
Daniela Stasia spiega quanto è accaduto alla sua famiglia: «Fino a pochi mesi fa mia madre viveva con una badante in centro città. Io e mia sorella ci alternavamo per seguirla e aiutarla, tutti i giorni. Una situazione difficile tra lavoro e famiglie, ma un equilibrio l’avevamo trovato. Mia madre nonostante l’età era anche abbastanza autonoma. Usciva tutti i giorni, andava a prendere il caffè nei bar del centro e aveva una vita regolare, compatibilmente con la sua età. L’aggravarsi della sua situazione fisica ha fatto sì che in poco tempo si rendesse necessario un ricovero in ospedale, affinché fosse seguita meglio nelle cure del caso; da lì, la sofferta decisione, dopo aver contattato una serie di case di riposo, di potarla in una Resistenza sanitaria assistita. Tutte ci hanno spiegato che le regole sono queste, senza possibilità di deroghe».
«Avevo letto sui giornali di situazioni simili, ora che le sto vivendo sulla mia pelle, capisco quanto fossero terribili certi racconti – conclude la donna -. Vorrei solo stringere la mano di mia mamma, starle vicino, farle sentire affetto e vicinanza, nonostante la malattia e la distanza. Chiedo forse troppo?».

p.l.b.

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