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Uno dei tanti assessori per caso investiti dalla tempesta perfetta

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coronavirus

Ci tocca. Ancora una volta. Osservare come siamo capaci di fare cronaca nazionale delle nostre miserie. Riusciamo a mettere in mostra un provincialismo a tratti disarmante, che ci fa rimanere a braccia larghe a rassegnarci d’ogni accadere.

S’evidenzia il senso d’inadeguatezza: così non ce la possiamo fare. A questo giro tocca a un’assessora regionale espressa dal nostro territorio, di conquistare spazio sui giornaloni saltando a piè pari le testate locali, che se ne accorgono sempre un po’ dopo di quel che siamo capaci di fare.

Lei è uno dei tanti assessori per caso, investiti dalla tempesta perfetta che dal nulla – o qualcosa che gli somiglia – si sono trovati ad avere incarichi politici di responsabilità. Probabilmente senza neanche avere un’idea di cosa sia, la responsabilità. Ma, come sempre nella vita, ci sono differenze anche in questo: c’è chi, risvegliandosi parlamentare o addirittura ministro, ci mette dell’impegno a capire in che guaio è finito; c’è chi, invece, non ha afferrato il cambio di modalità e continua a confondere la politica con la propaganda (la stessa che ha scatenato la tempesta perfetta).

Il loro merito non sta certo nell’aver goduto della fiducia degli elettori, visto che la loro elezione si deve ai meri meccanismi elettorali. Ma questo è anche il bello della democrazia, che permette a chiunque – forse un po’ troppo chiunque, a giudicare dai risultati – di raggiungere posizioni apicali. Nessuno nasce imparato, e questo è un adagio gergale ormai diffuso e lo si può adottare anche per i novizi della politica. Ma l’essere adeguati, nell’umiltà di dover imparare e servire, è il minimo requisito che gli si dovrebbe richiedere. Invece, come in questo caso, regna l’arroganza di chi per essere più realista del re ne scimmiotta gli atteggiamenti.

L’esordio assessorile fu l’esposizione di uno striscione che invocava la verità su Bibbiano. Poi, mentre piano piano la verità su Bibbiano veniva a galla – e non era certo quella invocata dallo striscione – concepiva il provvedimento “Allontanamento zero”. Se le parole hanno un significato, c’è dell’arroganza già nel nome. Poi, pretendere di aver ragione quando si sostiene che il problema di affidamenti farlocchi di minori si risolve non permettendone più e dirottando fondi dai servizi sociali a famiglie inadeguate anch’esse, introduce un nuovo concetto di arroganza che è ancora in fase di elaborazione. Non è un caso che contro questa logica sia insorto un movimento in difesa di quanto, in merito, era stato faticosamente costruito in Regione per dare una risposta alla tutela dei bimbi.

Ma restare sorda all’invocazione di un minimo di ragionevolezza, non le è bastato. E così si è abbandonata alla sua indole umorale al – metaforico – grido di: “Affidi, non accetto critiche da donne che non hanno avuto figli!”. Mettetevi nei miei panni e pensate un po’ come posso averla presa io che non sono nemmeno donna. O come avreste dovuto, se ancora non l’avete fatto, prendervela voi, se figli non ne avete. Ma, ancora, non le è bastato e l’ansia di emulazione compulsiva nei confronti del suo idolo politico le ha fatto aggiungere: «C’è chi parla e non è nemmeno madre. Forse prima di parlare dovrebbe passare per quel sacro vincolo». Facendo il paio con l’ostensione del Rosario a ogni comizio possibile del suo modello. E regalandoci così, ancora una volta, una visibilità di cui avremmo fatto volentieri a meno. Biella sugli scudi, sbiellati anche.

Lele Ghisio

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