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Tardoch, badola, balengo, fabioc: ecco tutti gli insulti in dialetto biellese

Le nostre tradizioni

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BIELLA – Le parolacce, si sa, sono sempre un po’ tabù, soprattutto quando si parla in pubblico, più ancora quando si scrive un testo.  Se però pensiamo ai turpiloqui del dialetto biellese, soprattutto nella variante più antica, si scoprono termini che vanno ormai in disuso, ma che sono sempre ancora in grado di strappare più di un sorriso.

C’erano le qualifiche che venivano attribuite a una persona per criticarla, o per disapprovarla quando veniva considerata stupida o tonta. Si diceva: bèp, o bèppa al femminile, gof (goffa), tardoch, armanach, ciurluch, cioc, che nella versione ancora più colorita diventava cioc matiné.
A rendere molto bene erano anche tabalöre e tubiola.

Se invece il soggetto in questione, oltre a essere poco sveglio, attento, era anche un po’ cattivello, si diceva pataluch, o patalucca, se era una donna, ciulla, babacio o babacia, nella variante femminile, badola e falurco.

Il migliore, per il suono che rende, potrebbe essere fabioc, ma anche balabiut, che si può tradurre con “balla nudo”, e non manca proprio nulla.
Nel quotidiano di oggi invece accade di sentir dire anche balengo.

Alle persone che non mantenevano fede alla parola data si usava dire ratatuia, asnon, bauitta, burich.

La parola che rende meglio, in questo caso, potrebbe essere ghigna frusta, che possiamo tradurre con “faccia consumata, viso brutto”.

Fra i personaggi più pasticcioni si annoveravano le piattule, gli rmanach, i pè piat, gli orgu rut, i macaco e l’ancora attuale pacioc.

Chi però si vestiva in modo ridicolo o in malo modo era anche un rabadan o un carlantone.

Si perdoni la grafia non sempre fedele alla regola grammaticale della lingua piemontese.
È una raccolta di ricordi, collezionata nel tempo e finalizzata a conservare la nostra identità culturale.
Per concludere, le persone molto alte venivano chiamate ciapa stèglie, acchiappa stelle.

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